01 marzo 2018 12:45

“Siete venuto per vedere la siccità?”, mi chiede beffardo un sudafricano. Sta effettivamente piovendo quando arrivo a Città del Capo, prima metropoli minacciata di ritrovarsi senza neanche una goccia d’acqua nei rubinetti.

Piove, in effetti, ma non abbastanza da cambiare la situazione. Qualche millimetro di pioggia che è comunque stato accolto come un dono dal cielo da questi cittadini solitamente orgogliosi del loro cielo blu, in una delle regioni più belle al mondo, dove le spiagge sono ancora affollatissime in questa ultima parte d’estate. Ogni persona che incontro mi spiega il suo sistema d’emergenza per raccogliere quanta più acqua piovana possibile: “Da queste parti ogni goccia conta”.

Effettivamente i quattro milioni di abitanti della penisola del Capo hanno preso la cosa sul serio a tal punto che il famoso day zero, il giorno zero in cui si asciugheranno i rubinetti, continua a essere rimandato e potrebbe addirittura, con un po’ di fortuna, non arrivare mai.

Tre anni di siccità
Inizialmente previsto per il 16 aprile, il “giorno zero” è stato rinviato più volte ed è attualmente annunciato per il 9 luglio. Ma entro tale data la regione del Capo, trovandosi nell’emisfero sud, sarà entrata nell’inverno australe e saprà se torneranno le piogge dopo tre anni di siccità. Se le precipitazioni dovessero tornare “normali”, la città potrebbe evitare il peggio. Almeno per questa volta. “La riduzione dei consumi che continua a essere effettuata dagli abitanti di Città del Capo è la principale ragione per la quale possiamo rallegrarci di questo rinvio. Grazie Città del Capo”, si è felicitato l’account Twitter #defeatdayzero, creato per comunicare con la popolazione.

Sono settimane, infatti, che gli abitanti sono scesi prima a 87 litri d’acqua al giorno e a testa, e poi, dal 1 febbraio, a 50 litri. Se effettivamente arriverà il “giorno zero”, i rubinetti saranno chiusi e gli abitanti avranno diritto a 25 litri al giorno, che potranno ritirare in uno dei duecento punti di distribuzione che saranno predisposti.

Questa crisi segue tre anni consecutivi di siccità (un fatto inedito da quando esistono le statistiche sul clima) che hanno svuotato le riserve di acqua potabile per la città e i suoi dintorni. Attualmente sono in corso delle perforazioni per cercare falde freatiche in profondità, mentre sono in costruzione impianti di desalinizzazione per le emergenze. Niente che possa però risolvere a breve termine la situazione.

Guerrieri dell’acqua
Va detto che gli sforzi degli abitanti sono impressionanti. Un’amica che vive a Città del Capo mi spiega che ormai fa la doccia ogni tre giorni, recupera l’acqua del lavandino o del lavello per alimentare lo sciacquone, ha cambiato il modo in cui lava i vestiti e la casa, e ha lasciato appassire il suo giardino.

In un ristorante di Muizenberg, la città costiera dove la domenica si ritrovano i surfisti, un piccolo cartello indica che il flusso dai rubinetti è stato ridotto, che l’acqua usata per lavare le verdure è riutilizzata per lavare i pavimenti e che le lavastoviglie sono attivate solo quando sono stracolme. Sul menu è indicato che l’acqua del rubinetto è servita solo su richiesta e che i prezzi della minerale sono stati abbassati: “Aiutateci a diventare dei guerrieri dell’acqua!”.

Questa prima grande crisi ecologica per una città di vari milioni di persone pone diversi interrogativi

Il gestore della struttura in cui alloggio mi supplica di abbreviare le mie docce. Nel frattempo la radio locale trasmette brani di massimo due minuti in modo da non indugiare troppo nel lavaggio.

Non manca il senso degli affari. A Newlands, un quartiere residenziale situato qualche chilometro a sudest di Città del Capo, una sorgente naturale aperta al pubblico è al centro di un’attività d’imbottigliamento permanente che ha spinto la polizia a intervenire per far rispettare un minimo di ordine pubblico. Decine di persone, bianche e nere, sono sempre in coda, con bidoni di plastica, per raccogliere a ogni passaggio 25 litri d’acqua. Alcuni fanno la coda per conto degli abitanti, altri la rivendono all’esterno, e alcuni trascorrono qui tutta la giornata, facendo la fila più volte per fare il pieno.

Al di là degli aneddoti, dell’arte di arrangiarsi, del senso civico di tante persone e della mobilitazione a tutti i livelli da parte delle autorità, questa prima grande crisi ecologica per una città di vari milioni di persone pone diversi interrogativi.

Una città divisa dalle disuguaglianze
La crisi ha permesso innanzitutto agli abitanti di Città del Capo di prendere coscienza della gravità del problema, delle dimensioni degli sprechi commessi finora in una regione fragile, e della necessità di riorganizzare la loro vita e la loro società in funzione di questa nuova situazione.

Ma ha anche fatto emergere la scottante questione delle disuguaglianze sociali in questa regione del Sudafrica. Disuguaglianze che si possono osservare in maniera evidente anche circolando in automobile.

La geografia di Città del Capo è l’eredità di tre secoli di presenza europea, e cinquant’anni di leggi di apartheid hanno lasciato una città divisa in due: i quartieri residenziali riservati ieri ai bianchi (e tuttora a maggioranza bianca nonostante sia il denaro e non la legge a deciderlo) hanno stili di vita ad altissimo consumo di acqua, con giardini, piscine o varie auto per famiglia.

L’ombra del giorno zero aleggia ormai su tutte le aree del mondo minacciate dal riscaldamento climatico

Altrove, tra Table mountain, frontiera naturale della città, e l’oceano, si distende un’immensa area di sobborghi più o meno miserabili, che vanno dalle township alle baraccopoli dove affluiscono i migranti del resto dell’Africa o dell’interno del Sudafrica, attirati da Città del Capo. Qui il consumo idrico è già molto ridotto, spesso perché le abitazioni sono prive di acqua corrente.

Anche per quanto riguarda l’uso delle risorse, i sudafricani non sono tutti uguali: i ricchi consumano molto e sprecano, mentre i poveri non possono permettersi questo lusso. Nel Sudafrica del dopo apartheid resiste questo divario sociale, spesso legato al colore della pelle, e la questione idrica ne è un’ulteriore spia.

I più ottimisti sperano che a emergenza finita nasca un dibattito pubblico sulla distribuzione delle ricchezze, degli sforzi e dei sacrifici. Ma è difficile che accada, anche se saranno prese delle misure per modificare le abitudini dei maggiori consumatori d’acqua. Bisognerà poi capire se le autorità regionali e nazionali (la regione e la città sono governate dall’Alleanza democratica, il partito liberale che si oppone all’African national congress al governo) siano state incapaci di prevedere la crisi e se si stiano realmente impegnando per essere all’altezza dei cambiamenti climatici in questa estremità meridionale dell’Africa.

Il resto del mondo dovrebbe riflettere sulla fragilità dei nostri sistemi, sugli sprechi che derivano dai nostri stili di vita e sulla necessità di non aspettare l’emergenza per reagire. Alcuni sospettano che il governo regionale abbia inventato lo slogan “giorno zero” per scatenare la presa di coscienza tra gli abitanti di Città del Capo: se così fosse, sarebbe una mossa azzeccata, poiché è riuscita al di là di ogni aspettativa.

Forse i rubinetti di Città del Capo non rimarranno a secco a luglio o in un’altra data di quest’anno. Ma che questo accada o meno, l’ombra del giorno zero aleggia ormai su tutte le aree del mondo minacciate dal riscaldamento climatico, che devono porsi il problema di una migliore gestione delle risorse. Gli abitanti di Città del Capo saranno così stati le cavie di un modo di gestire la crisi su cui non avrebbe scommesso quasi nessuno.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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