25 marzo 2020 09:38

Sono i dannati del coronavirus: gli sfollati del nord della Siria, i rifugiati ammassati nella terra di nessuno tra la Turchia e la Grecia, gli abitanti intrappolati della Striscia di Gaza, i profughi delle guerre in Afghanistan, Sud Sudan e Yemen, i rohingya perseguitati in quella che fu la Birmania…

Queste popolazioni hanno in comune il fatto di essere totalmente inermi davanti alla minaccia del coronavirus, precarie tra i precari su scala mondiale, vittime ieri dei disastri politici nei loro paesi e oggi della pandemia che non risparmia nessun paese e nessuna popolazione.

Su un sito dell’Onu un profugo rohingya racconta il panico e il terrore scoppiati nei campi profughi del Bangladesh quando sono stati annunciati i primi casi di Covid-19 nel paese. Secondo il testimone il milione di rifugiati ammassati nei campi non ha alcuna possibilità di sfuggire al virus.

Il 24 marzo il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha lanciato un appello per un “cessate il fuoco immediato in ogni parte del mondo” nelle zone di guerra per proteggere i civili dalla pandemia, nemico comune. Ma l’appello è rimasto lettera morta. Nessuna reazione da parte dei paesi e dei gruppi armati impegnati in questi conflitti.

Nella regione siriana di Idlib i bombardieri russi hanno preso di mira gli ospedali

Le organizzazioni umanitarie riferiscono di una catastrofe a cui tentano di opporsi con mezzi irrisori, perché l’attenzione del mondo è rivolta altrove e perché le condizioni di intervento sono particolarmente difficili.

La regione di Idlib, nel nord della Siria, offre un esempio tragico di cosa sta accadendo. Durante gli ultimi mesi più di un milione di civili è fuggito dall’offensiva dell’esercito di Bashar al Assad, che con l’aiuto dell’aviazione russa vorrebbe riprendere il controllo dell’ultima regione che ancora gli sfugge. Durante l’offensiva gli ospedali sono stati presi di mira dai bombardieri russi.

Secondo il dottor Raphaël Pitti, medico francese che opera nella zona, il coronavirus è ormai arrivato a Idlib. I segnali sono inequivocabili, anche se non esiste ancora la possibilità di effettuare test. “La catastrofe è già qui”, spiega Pitti. Il contesto è disastroso: precarietà, promiscuità nei campi e il 54 per cento dei residenti affetto da malnutrizione.

La guerra è stata messa in pausa da un accordo turco-russo, ma non è stato risolto nulla. Oggi la Russia pattuglia da un lato, la Turchia dall’altro. Questa tregua crea nuovi sfollati nella zona turca, in fuga dall’esercito di Damasco.

Cosa possono fare le organizzazioni umanitarie? Il dottor Pitti conferma che la Francia ha sbloccato alcuni fondi per fornire test sul coronavirus. In un secondo momento le ong presenti sul posto prevedono la creazione di un campo speciale per le persone contagiate. Ma è una corsa contro il tempo, e sappiamo che il virus va veloce. Il Covid-19 non fa distinzione tra i cittadini dei paesi ricchi e gli sfollati in un paese in guerra. Per questi ultimi, però, aumenta la sensazione di essere doppiamente vittime.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it