29 settembre 2021 10:27

Esiste una regione di cui si parla poco nel nostro flusso d’informazioni e che tuttavia contiene quantità considerevoli di minerali diventati indispensabili per l’economia moderna: litio, cobalto, coltan e altri composti utili per la fabbricazione di telefoni e batterie.

È una regione povera, in preda a guerre senza fine e dove la promessa di giorni migliori resta disattesa ormai da decenni. Questa regione è l’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), nel cuore del continente africano.

Come prevedibile, si tratta di un terreno di scontro geopolitico tra la Cina, che da vent’anni ha messo gli occhi sulle materie prime africane, e gli Stati Uniti, che hanno scatenato una guerra fredda contro il loro rivale del ventunesimo secolo. Nella regione è in corso un braccio di ferro tra il presidente congolese Félix Tshisekedi e i potenti interessi economici cinesi attirati nel paese dal suo predecessore, Joseph Kabila.

Clausola segreta
Nel 2008 la Rdc, guidata da Kabila, firmò quello che all’epoca fu descritto come il “contratto del secolo” tra un’azienda cinese e la società mineraria pubblica Gécamines per l’estrazione di rame, di cui il paese è estremamente ricco. La Cina anticipò sei miliardi di dollari, di cui una parte destinata allo sviluppo della regione, e nel corso degli anni ha recuperato l’investimento grazie alle entrate della Gécamines.

Tredici anni dopo siamo ancora lontani dall’estinzione del debito. Secondo un rapporto dell’Iniziativa per la trasparenza delle industrie estrattive, al momento è stato versato appena un miliardo. Le popolazioni locali non hanno visto un centesimo e l’opacità regna sovrana sui conti di Gécamines. Secondo il rapporto una clausola segreta nel contratto del 2008 definisce la ripartizione dei dividendi, e il danno per lo stato sarebbe “senza precedenti nella storia del Congo”.

Il presidente Tshisekedi ha chiesto il riesame dei contratti minerari con l’azienda cinese, una mossa che potrebbe spingerlo in rotta di collisione non solo con Pechino ma anche con l’ex presidente Kabila, estromesso dal potere ma ancora vicino ai circoli che contano.

Dispositivi insanguinati
La vicenda è delicata perché la rivelazione di possibili malversazioni s’iscrive in una lotta politica che risale alle elezioni contese del 2019. Nessuno sa come andrà a finire, e Kabila non è tipo da lasciarsi scoraggiare.

Poi ci sono i rapporti con Pechino. Finora l’ambasciata cinese si è mostrata conciliante, sottolineando che se le imprese cinesi dovessero aver “sbagliato” saranno punite e allontanate dalla Rdc. Ma sarebbe ingenuo non tenere conto del fatto che la vicenda illumina le pratiche predatrici che sfruttano la corruzione dei dirigenti locali per ottenere il massimo profitto. La Cina non si lascerà sfuggire questi investimenti strategici nel settore minerario.

Al di là delle scaramucce, la verità è che l’intero settore minerario nella Rdc andrebbe ripulito. Gli investitori cinesi, canadesi, australiani e di altri paesi sono troppo spesso accusati di pratiche illecite. Esistono iniziative positive come l’Alleanza per il cobalto equo, ma purtroppo i controlli non sono efficaci. Forse è arrivato il momento che i consumatori di tutto il mondo si chiedano come sono prodotti i loro tanto agognati dispositivi digitali, perché spesso sono macchiati di sangue.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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