12 ottobre 2021 10:07

Come spiegare il fatto che il processo su un omicidio avvenuto trentaquattro anni fa susciti ancora così tanta passione e così tanto interesse? Thomas Sankara ha governato il Burkina Faso solo per quattro anni, dal 1983 fino alla sua morte il 15 ottobre 1987, ma il suo nome è circondato da una potente mitologia, più simile a quella di Che Guevara che a quella di Nelson Mandela. Sankara ispira ancora oggi una gioventù africana orfana di un’utopia federatrice.

Ho avuto occasione di intervistare diverse volte questo ufficiale dei paracadutisti che governava dando l’esempio. Sankara aveva venduto le limousine della presidenza sostituendole con una flotta di Renault 5, ed era tanto puro quanto duro (aveva le sue zone d’ombra). Trentenne pieno di senso dell’umorismo, sapeva mostrarsi diretto e pedagogico per mobilitare gli abitanti dell’Alto Volta, paese che aveva ribattezzato con il nobile nome di Burkina Faso, il paese degli uomini integri.

Il suo omicidio ha sconvolto e traumatizzato l’Africa, anche perché al suo posto si è installato il suo fratello d’armi (che a volte Sankara chiamava semplicemente fratello), il capitano Blaise Compaoré. Quest’ultimo è rimasto aggrappato al potere per 27 anni, ed è stata necessaria la sua caduta per far cominciare il processo che si è aperto l’11 ottobre (ed è stato subito rinviato al 25 ottobre), a Ouagadougou, in assenza del principale accusato, Compaoré, in esilio all’estero.

Rapporto deteriorato
Tre giorni dopo la morte di Sankara avevo intervistato Compaoré nell’ufficio della presidenza a Ouagadougou, per il quotidiano Libération. Aveva ricevuto me e il mio collega Stephen Smith in piena notte, in una città ancora sotto coprifuoco. Era affranto. “Non volevo la sua morte”, ci ha confessato. Una frase ambigua che poteva essere interpretata come una confessione ma anche come una manifestazione d’affetto.

Durante quell’intervista notturna Compaoré, in divisa da paracadutista, ci aveva confessato di essere convinto che Sankara volesse farlo arrestare e giustiziare. Gli avevo chiesto se ne avesse le prove. “Sankara era un militare. Se avessi preparato un piano del genere non avrei lasciato tracce”. Una frase che la dice lunga sul deterioramento del loro rapporto.

Parigi era informata di ciò che stava per accadere? Se così fosse, ha autorizzato l’omicidio?

Il processo permetterà di scoprire qualcosa in più sulle condizioni e sulle intenzioni dietro quel fatto di sangue? Difficile, perché in assenza di Compaoré i possibili legami internazionali resteranno senza risposta.

A questo punto emergono almeno due interrogativi che riguardano il ruolo svolto dagli allora capi di stato nella sottoregione saheliana, tra cui l’ivoriano Félix Houphouët-Boigny, profondamente irritato dal carismatico capitano Sankara, a quello della Francia. Parigi era informata di quello che stava per accadere? Se così fosse, ha autorizzato l’omicidio? La risposta, evidentemente, non si trova nei documenti declassificati che la Francia ha inviato alla giustizia del Burkina Faso.

Un anno prima della morte di Sankara il presidente francese dell’epoca, François Mitterrand, si trovava in visita a Ouagadougou. La cena ufficiale era stata segnata da uno straordinario scambio tra il giovane ufficiale e il vecchio capo di stato. Nel suo discorso, Mitterrand aveva commentato l’approccio antimperialista di Sankara: “È un uomo un po’ fastidioso, il presidente Sankara. È vero! Ti provoca, pone domande… Con lui non è facile dormire in pace, non ti lascia la coscienza tranquilla”.

Trentaquattro anni dopo, Sankara continua a turbare i sonni di molti, in attesa che la giustizia possa chiudere questo capitolo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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