26 gennaio 2022 10:03

E se Putin bluffasse? Questa è la domanda da un miliardo di dollari a cui gli occidentali vorrebbero saper rispondere, ma il problema è che il presidente russo si comporta come se avesse tutte le carte in mano, e cerca di alzare la posta con le minacce. Se invece Putin non stesse bluffando, significherebbe che esiste il rischio concreto di una guerra sul suolo europeo.

A prima vista la cosa migliore da fare sarebbe quella di prenderlo comunque sul serio. La Russia ha ammassato più di centomila soldati ai confini dell’Ucraina, con blindati e mezzi pesanti. I russi organizzano manovre in Bielorussia e in Crimea facendo suonare a tutto volume gli organi della propaganda. Se si tratta di un bluff, bisogna ammettere che è ben fatto.

Tra l’altro le idee di Putin sull’Ucraina non sono un mistero. L’estate scorsa il presidente ha pubblicato un lungo articolo scritto di suo pugno sui rapporti tra Kiev e la Russia. Il documento è disponibile, in inglese, sul sito del Cremlino. Fin dalla prima frase Putin mette in chiaro che “i due popoli sono un unico popolo. Siamo un tutt’uno”. Seguono migliaia di parole per sostenere questa tesi, storiograficamente contestata da Kiev.

Invitato d’onore a Pechino
In un contesto simile cosa potrebbe far pensare a un bluff? Prima di tutto la lunghezza della crisi. Ormai da settimane Putin tace in merito alle tensioni che lui stesso ha creato, e lascia che siano i suoi avversari a reagire, ad argomentare sulla strategia e a dividersi. Intanto osserva le reazioni, mette alla prova la solidità delle alleanze e valuta le possibili risposte in caso di conflitto.

Putin non dice nulla e non lascia trapelare le sue intenzioni. Tra qualche giorno si recherà a Pechino per l’inaugurazione dei giochi olimpici invernali, boicottati diplomaticamente da molti paesi occidentali, e sarà l’invitato d’onore del suo amico Xi Jinping. I due autocrati che contestano l’ordine internazionale vorrebbero trasformare l’evento in una dimostrazione di forza e di intesa.

Boris Johnson è felicissimo di agitare lo spettro della guerra per distogliere l’attenzione dalle sue feste organizzate durante il lockdown

Gli amanti dei simbolismi ricorderanno che la guerra russo-georgiana del 2008 scoppiò d’estate alla vigilia dell’apertura delle Olimpiadi a Pechino. Ma si sa, la storia non si ripete mai nella stessa identica forma.

Tra gli occidentali, intanto, emergono due approcci. I britannici e gli statunitensi moltiplicano gli avvertimenti a proposito di una guerra imminente, rimpatriando il personale da Kiev. Sull’altro fronte Parigi, Berlino e Bruxelles non vogliono lasciarsi trascinare in questo gioco al rilancio ma al contempo non intendono cedere alle pretese russe.

Guerra di nervi
Il 25 gennaio il contrasto è apparso evidente: nel dibattito alla camera dei comuni, a Londra, regnava un’atmosfera da vigilia armata, con il primo ministro Boris Johnson felicissimo di agitare lo spettro della guerra per distogliere l’attenzione dalle sue feste organizzate durante il lockdown; contemporaneamente, a Berlino, il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz parlavano di diplomazia e dialogo cercando di calmare i giornalisti che chiedevano se la guerra sarebbe scoppiata nel giro di poche ore.

Chi ha ragione? Questa guerra di nervi è uno degli strumenti del bluff, se di questo si tratta. Ma nessuno sa cosa ci sia nella testa di Putin. In ogni caso è indispensabile passare dalla diplomazia per offrire una via d’uscita a Mosca, ed è ciò che accadrà il 26 gennaio a Parigi con una prima riunione russo-ucraina nell’ambito dei colloqui multilaterali del formato Normandia tra Francia, Germania, Russia, Ucraina. Al contempo, però, bisogna presentare una dissuasione credibile in caso si arrivi al peggio. In geopolitica come a carte, solo alla fine si scopre se qualcuno bluffava. Non siamo ancora arrivati alla mano decisiva.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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