27 settembre 2022 09:30

In quale momento una rivolta si trasforma in una rivoluzione? In altri termini: il movimento senza precedenti che in Iran sta combattendo contro l’ordine morale dei mullah è condannato a svanire sotto i colpi di una repressione senza pietà? Oppure è già abbastanza forte da cambiare la situazione se non addirittura il regime?

Dopo la morte, dieci giorni fa, della giovane Mahsa Amini, arrestata dalla polizia morale per una ciocca di capelli di troppo o un contegno ritenuto inadeguato, le immagini che ci arrivano dall’Iran sono straordinarie. Un po’ ovunque nel paese le ragazze danno prova di un coraggio senza limiti, insieme agli uomini che condividono la loro lotta. Tutte le regioni e tutti gli strati sociali sono coinvolti da questo movimento innescato da un banale incidente (per gli standard dell’Iran) ma che sembra essere stato l’incidente di troppo.

Al momento si contano già più di cinquanta morti e centinaia di arresti. La macchina repressiva è entrata in funzione ed è stata invitata dalle autorità a mostrarsi inflessibile. Eppure le manifestazioni non si fermano.

Impermeabile alle pressioni
Il regime ha i mezzi per controllare la situazione? Senza dubbio, e se la storia può insegnarci qualcosa possiamo presumere che ne abbia anche la volontà. Niente, in questo caso, potrà fermarne la repressione. Nemmeno le proteste internazionali, arrivate sia dai governi sia dalle opinioni pubbliche. L’Iran è impermeabile alle pressioni, anche perché subisce già sanzioni severe a causa del suo programma nucleare.

La vicenda, dunque, sarà decisa sul fronte interno, in un braccio di ferro tra i giovani che manifestano la loro esasperazione per i divieti religiosi e un regime che non intende permettere alla piazza di dettare leggi. In tutto questo bisogna ricordare che l’Iran costituisce un pezzo del puzzle del confronto mondiale innescato dalla guerra russa in Ucraina.

È possibile che il potere religioso riesca a stroncare il vento di rivolta, magari a costo di un bilancio di vittime ancora più pesante

La novità è rappresentata da questa nuova generazione, da ragazze più istruite delle loro madri e decise a non lasciarsi sottomettere. Il sociologo francoiraniano Farhad Khosrokhavar ha spiegato in un’intervista all’Obs che “siamo davanti a un movimento femminista lanciato dalle donne che attraversa tutte le classi sociali e assume una dimensione nazionale. È un fenomeno assolutamente inedito”.
Khosrokhavar sottolinea che “il gesto di inaudito coraggio da parte di tutte le donne che bruciano il loro hijab e si tagliano i capelli ha ridicolizzato un regime che è disconnesso dal suo popolo”.

Nonostante questa analisi è possibile che il potere religioso riesca a stroncare il vento di rivolta, magari a costo di un bilancio di vittime ancora più pesante.

Ma la spinta di un’intera generazione, quella dei nipoti della rivoluzione del 1979, ha fatto segnare una tappa importante nella tormentata storia del paese, con una richiesta di libertà individuale che i mullah pensavano di aver cancellato dal modello politico iraniano.

L’Iran, con la sua lunga storia e la sua identità fiera, dovrà imparare a vivere con questa generazione che vuole essere libera. Anche se questo non dovesse accadere oggi, chi può credere che le ragazze liberate, spinte a ribellarsi dalla morte della giovane Mahsa Amini, rientreranno obbedientemente nei ranghi sotto i colpi dei manganelli? I mullah hanno per le mani un bel problema.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede in Medio Oriente. Ci si iscrive qui.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it