02 novembre 2022 10:24

Weaponization è una parola inglese difficilmente traducibile. Può significare militarizzazione ma anche conflittualizzazione. È quello che ha continuato a fare Vladimir Putin in ogni contesto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, dal gas alla minaccia nucleare sul piano civile e militare. Il capo del Cremlino gioca con i nervi degli ucraini, degli europei e del mondo intero per perseguire i suoi obiettivi.

La stessa dinamica si ripresenta a proposito dei cereali ucraini, indispensabili per molti paesi del Medio Oriente e dell’Africa. Al momento è in corso una partita di poker bugiardo la cui posta in gioco è una possibile carestia, ma anche la posizione dei paesi del sud rispetto al conflitto ucraino.

In estate una mediazione della Turchia e dell’Onu aveva permesso il passaggio delle navi cariche di cereali attraverso il mar Nero, scongiurando l’ipotesi di una carestia. Ma nel fine settimana Putin ha “sospeso” l’accordo dopo l’attacco contro la flotta russa nel porto di Sebastopol.

La ricerca dei responsabili
Il 31 ottobre e il 1 novembre il passaggio delle navi è avvenuto senza problemi, ma Ucraina, Russia e Turchia hanno annunciato che il 2 novembre non ci sarà alcun movimento sul mar Nero, senza dubbio per lasciare spazio al negoziato.

A chi sarà attribuita la responsabilità della crisi alimentare nei paesi più deboli? Appoggiandosi all’attacco di Sebastopol, la Russia cerca di addossare la colpa agli occidentali alleati dell’Ucraina, nel tentativo di mantenere (nel peggiore dei casi) la neutralità attiva di una parte dei paesi del sud evidenziata dalle votazioni alle Nazioni Unite.

La battaglia proseguirà almeno fino al vertice del G20 di Bali

Qualche giorno fa un funzionario occidentale si lamentava del fatto che parte dell’Africa non comprende ancora che la responsabilità per la crisi è interamente della Russia: “Senza la guerra in Ucraina non esisterebbe il rischio di una carestia”.

La settimana scorsa il presidente della Guinea Bissau, in rappresentanza degli stati dell’Africa occidentale, ha visitato sia Mosca sia Kiev, per poi dichiarare di aver trovato Putin più convincente rispetto al suo collega ucraino. Il messaggio, insomma, non sta passando.

La battaglia proseguirà almeno fino al vertice del G20 in programma tra due settimane a Bali, dove saranno presenti Joe Biden, Emmanuel Macron, Xi Jinping e forse anche Vladimir Putin, insieme ai grandi stati del sud. Gli occidentali sperano di poter approfittare dell’occasione per dimostrare che la Russia è isolata. Ma non è detto che ci riescano.

C’è un argomento che potrebbe aiutarli: negli ultimi mesi, con grande discrezione, è stata organizzata un’operazione per consentire l’esportazione di gran parte dei cereali ucraini per via interna (a bordo di camion, chiatte e treni) con la partecipazione dei paesi che costeggiano il mar Nero e l’aiuto dei paesi europei, tra cui la Francia.

Ormai il 60 per cento dei cerali ucraini esportati segue questo percorso terrestre, sfuggendo al ricatto russo malgrado grandi difficoltà logistiche. È un elemento cruciale che potrebbe convincere i paesi più bisognosi del fatto che gli occidentali non sono responsabili per le loro traversie, anzi stanno cercando di trovare soluzioni. Ma non è affatto scontato che funzioni.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it