18 novembre 2022 10:26

Alcuni conflitti ricevono meno attenzione giornalistica di altri. Uno di essi è sicuramente quello che stravolge l’area orientale della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), al confine con la regione dei grandi laghi.

Impossibile capire cosa stia accadendo senza ricordare che per un decennio, a cavallo tra gli anni novanta e duemila, i conflitti nella regione dei grandi laghi hanno provocato più di cinque milioni di morti. Gli scontri attuali sono solo la prosecuzione di quelli del passato. Anche gli attori sono gli stessi.

Al centro della vicenda c’è un’organizzazione ribelle – l’M23, Movimento del 23 marzo – etnicamente dominata dai tutsi. Nel 2013 l’M23 aveva deposto le armi, ma un anno fa ha ripreso la lotta. Il governo congolese accusa il Ruanda di spalleggiare i ribelli, una tesi confermata da un rapporto stilato dagli esperti dell’Onu e pubblicato in estate, in cui si parla della partecipazione dei soldati ruandesi e della consegna di armi.

Groviglio di rivalità
Il Ruanda, di contro, punta il dito contro la Rdc accusandola di ospitare un gruppo armato di hutu che in passato ha partecipato al genocidio dei tutsi. I due paesi sono sull’orlo di una guerra.

Tra i diversi attori della regione c’è un groviglio di rivalità di potenza e tentativi di superarsi nella corsa alle considerevoli risorse naturali, a cominciare dall’oro, che secondo la Rdc sarebbe estratto dai ribelli e raffinato in Ruanda prima di essere nuovamente esportato.

I 14mila caschi blu dell’Onu presenti dal 1999 si sono rivelati palesemente impotenti

Questa situazione dura ormai da anni, e a pagarne il prezzo è la popolazione, con 200mila profughi e migliaia di rifugiati in Uganda. La città di Goma, capitale della provincia del Nord Kivu, teme un assalto dell’M23, i cui uomini si trovano a pochi chilometri di distanza.

Stavolta l’Africa si sta mobilitando per disinnescare la minaccia. L’Angola conduce una mediazione, mentre all’inizio della settimana diverse centinaia di soldati keniani sono arrivati a Goma nel quadro di una forza regionale d’interposizione. La popolazione spera che siano più efficaci dei 14mila caschi blu dell’Onu presenti dal 1999, che si sono rivelati palesemente impotenti.

La Repubblica Democratica del Congo è il più grande paese francofono al mondo. Dunque il vertice dell’Organizzazione internazionale della francofonia che si apre il 19 novembre a Gerba, in Tunisia, avrebbe l’occasione di affrontare l’argomento, ma fatica a farsi sentire su questi temi.

La possibilità di superare la crisi sono minime, soprattutto considerando la debolezza dello stato congolese, un’eredità storica degli anni di dittatura e saccheggio delle risorse dopo la decolonizzazione improvvisata dal Belgio nel 1960.

La Repubblica Democratica del Congo ha una risorsa che è anche un handicap: possiede minerali indispensabili alla transizione ecologica, quelli che si trovano nelle batterie delle auto elettriche e degli smartphone. Queste risorse alimentano grandi appetiti: la Cina ha acquisito posizioni minerarie importanti con contratti che odorano di corruzione, ma ora gli statunitensi contrattaccano e anche le altre potenze regionali si stanno attivando.

È uno dei grandi paradossi del nostro tempo: i minerali necessari per un mondo più pulito sono estratti nelle peggiori condizioni ambientali e sociali, e suscitano desideri feroci. Forse un giorno bisognerebbe interessarsene…

Nell’attesa, gli abitanti dell’est della Rdc, lontanissimi dalla questione climatica, chiedono solo di vivere in pace.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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