05 dicembre 2022 10:14

A prima vista le donne iraniane dovrebbero avere tutti i motivi per esultare. La polizia morale, responsabile dell’omicidio di Mahsa Jina Amini a settembre per una ciocca di capelli fuori posto, non dovrebbe più essere in servizio.

Il condizionale resta d’obbligo, perché, come accade sempre in queste circostanze, l’annuncio non è stato del tutto chiaro. Il procuratore della Repubblica islamica Javad Montazeri lo ha lasciato intendere, ma altre fonti hanno smentito. Un segno di imbarazzo in un contesto segnato dalla rivolta dei giovani che va avanti da più di due mesi.

La prudenza è indispensabile anche perché le donne resteranno esposte all’arbitrio del regime. La legge, infatti, non è cambiata (il velo resta obbligatorio) e tutte le forze dell’ordine hanno la possibilità di applicarla, anche se in queste ultime settimane molte donne hanno abbandonato il velo in totale impunità.

Contestazione globale
Detto questo, è evidente che il regime abbia fatto un passo indietro. È un segno del fatto che, nonostante non abbia rinunciato a imporre la sua legge, i rapporti di forze non gli sono favorevoli.

Sarebbe sorprendente se questa semplice concessione mettesse fine al movimento. La rivolta è nata dalla morte di Mahsa Jina Amini, ma con il passare dei giorni è andata oltre la semplice rivendicazione rispetto al velo, diventando una contestazione globale della Repubblica islamica e della guida suprema Ali Khamenei.

Alla fine il movimento potrebbe davvero prevalere?

La prima concessione arrivata il 4 dicembre potrebbe dunque essere considerata un’ammissione del fatto che la sola repressione (che ha già provocato più di trecento morti e più di 14mila arresti) non basterà a sfiancare il movimento, come invece accaduto per le contestazioni precedenti.

Facendo un passo indietro sulla simbolica polizia religiosa, forse il regime vuole convincere una parte dei manifestanti che la ragione della loro collera è svanita.

Il rischio, però, è che accada l’opposto: gli iraniani potrebbero credere che se il potere ha ceduto una volta, allora potrebbe continuare ad arretrare, e soprattutto convincersi che le concessioni non cambiano la natura del regime, ormai inviso ai giovani del paese.

Alla fine il movimento potrebbe davvero prevalere? È l’interrogativo fondamentale legato alla natura della rivolta, che ormai coinvolge tutte le frange della società iraniana. Se si tratta di un movimento rivoluzionario, allora potrà accontentarsi solo della caduta del regime instaurato nel 1979 dall’ayatollah Khomeini. Per realizzare questo scenario sarebbe tuttavia necessario che una parte delle forze di sicurezza, braccio armato del regime, decidesse di farsi da parte o addirittura cambiare schieramento.

Se davvero l’obiettivo è una nuova rivoluzione, il movimento dovrà superare un grande ostacolo comune alla maggior parte delle rivolte popolari degli ultimi anni, dal Libano all’Algeria: la mancanza di organizzazione e di leader. Questa fluidità è un punto di forza perché protegge il movimento dalla repressione mirata, ma è anche una debolezza perché limita le possibilità di coordinamento e iniziativa.

L’epoca delle avanguardie rivoluzionarie è finita, ma le rivoluzioni spontanee non riescono ad arrivare in fondo. Però quanto meno fanno vacillare i regimi più determinati, e questo è un primo risultato chiaro di una crisi inedita. I giovani iraniani stanno dando una lezione di coraggio e tenacia al resto del mondo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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