27 marzo 2023 10:14

Ricatto nucleare, episodio numero 372… Vladimir Putin ha nuovamente sventolato la minaccia dell’arma atomica, stavolta annunciando l’invio di dispositivi nucleari tattici, ovvero “piccole” bombe utilizzabili sul campo di battaglia. La manovra non avrà effetto immediato, perché i silos appositi saranno completati solo il prossimo luglio, come ha precisato il presidente russo.

Eppure l’annuncio provoca un certo turbamento, come accade regolarmente da un anno a questa parte ogni volta che Mosca paventa l’apocalisse atomica. La preoccupazione serpeggia soprattutto in Polonia, paese vicino della Bielorussia.

Perché Putin si comporta così? Prima di tutto dobbiamo sottolineare che il capo del Cremlino non teme la contraddizione. Alla vigilia dell’annuncio, infatti, Putin aveva firmato con il numero uno cinese Xi Jinping una dichiarazione in cui affermava che “le potenze nucleari non devono mantenere armi atomiche fuori dal loro territorio”. Il presidente russo ha ricordato che gli statunitensi dispongono di un arsenale nucleare all’estero, per esempio in alcuni paesi della Nato, ma la sua scelta successiva evidenzia tutti i limiti dell’impegno russo.

Due insegnamenti
Cosa vuole ottenere Putin con il suo annuncio? L’obiettivo in realtà è sempre lo stesso, fin dall’inizio dell’invasione: fare paura agli europei che preferirebbero non “morire per l’Ucraina”. Questo calcolo trova appigli nei paesi occidentali per diffondere l’idea che Putin fa sul serio e non bisogna sottovalutare il rischio di una guerra atomica.

Ma la realtà è che dall’inizio dell’invasione, ormai tredici mesi fa, la postura nucleare della Russia non è mai cambiata, come hanno confermato anche gli Stati Uniti, particolarmente attenti all’argomento. Fino a ieri il Pentagono sottolineava di non aver notato alcuna alterazione nel comportamento di Mosca rispetto alle armi atomiche, aggiungendo che lo stesso si può dire della Nato.

Se Xi Jinping fosse serio nelle sue intenzioni, impedirebbe a Putin di inviare le armi tattiche nucleari in Bielorussia

In generale possiamo trarre due insegnamenti da questa vicenda. Il primo è che la Bielorussia è ormai uno stato vassallo della Russia. In passato si diceva che il dittatore di Minsk, Aleksandr Lukašenko, fosse prudente e ansioso di non impegnare direttamente il suo paese nella guerra. Ma oggi Lukašenko non ha altra scelta se non quella di obbedire al Cremlino, sua àncora di salvataggio dopo le elezioni farsa del 2020. Alcuni leader occidentali si pentono delle sanzioni precipitosamente imposte alla Bielorussia, che hanno spinto Lukašenko tra le braccia di Putin. In ogni caso i due paesi ormai sono legati da un cordone ombelicale.

Il secondo insegnamento è che bisogna essere molto prudenti nel valutare il ruolo della Cina e soprattutto l’idea che Pechino possa mediare con un piano di pace. Firmando la dichiarazione distensiva con Putin, Xi ha voluto ripulire l’immagine del suo paese come potenzia pacifica. Ma il giorno successivo il presidente russo ha fatto esattamente il contrario di quello che aveva promesso.

Gli europei che sfilano a Pechino – Emmanuel Macron arriverà la settimana prossima – brandiscono come un trofeo le dichiarazioni cinesi sul nucleare. Questo approccio è utile per scongiurare escalation fatali, ma non basta. Se Xi fosse serio nelle sue intenzioni, impedirebbe a Putin di inviare le armi nucleari tattiche in Bielorussia smentendo la loro dichiarazione comune.

In fin dei conti, però, si tratta solo di un’ennesima escalation retorica da parte di Putin. L’unica vittima, in tutto questo, è la sovranità della Bielorussia. Ma nessuno si faceva illusioni in merito. La guerra, intanto, prosegue sul terreno militare classico e sembra tutt’altro che vicina alla sua conclusione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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