22 maggio 2023 09:19

Leggendo il lungo comunicato finale del vertice che ha riunito le sette principali economie occidentali, il G7 di Hiroshima, bisogna arrivare al punto 51 prima di trovare l’argomento Cina. Eppure i rapporti con Pechino, insieme alla guerra in Ucraina, sono il tema numero uno per gli Stati Uniti e per il paese ospitante, il Giappone.

In ogni caso, anche se diluiti in un testo che affronta molti argomenti, i riferimenti alla Cina hanno provocato una reazione durissima da parte di Pechino. “Denigrazione sistematica”, “ingerenze negli affari interni cinesi”, “destabilizzazione regionale”: il ministero degli esteri cinese non ha certo misurato le parole commentando il vertice.

Visto da Pechino, l’evento di Hiroshima consolida il clima da guerra fredda che domina l’Asia nordorientale. Ma è una guerra fredda di tipo nuovo, molto diversa da quella del secolo scorso tra Stati Uniti e Unione Sovietica.

Cordone di sicurezza
Nel comunicato, le potenze occidentali si sono preoccupate di proclamare che il loro approccio “non è concepito per arrecare danno alla Cina. Non intendiamo ostacolare il progresso o lo sviluppo economico cinese”. Ma resta il fatto che tutte le decisioni prese dagli statunitensi, già all’epoca di Donald Trump e successivamente, in modo ancora più decisivo, sotto Joe Biden, mirano di fatto a rallentare l’ascesa di Pechino come rivale globale di Washington.

Gli Stati Uniti e i loro alleati praticano quello che nel contesto della prima guerra fredda si chiamava “contenimento”, parola chiave di quei tempi. Si tratta in sostanza di stringere alleanze in modo da creare un cordone di sicurezza attorno al paese che si vuole arginare.

È difficile tendere la mano e al contempo incrementare la pressione

È quello che succede nel settore della tecnologia, il vero campo di battaglia del ventunesimo secolo. Privando la Cina dell’accesso ai semiconduttori più all’avanguardia e ai macchinari che permettono di produrli, gli statunitensi hanno colpito duramente l’economia cinese.

La grande differenza rispetto alla prima guerra fredda è che allora quasi non esistevano scambi commerciali e investimenti tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Di contro, nel 2022 il commercio tra Stati Uniti e Cina ha raggiunto un giro d’affari di 690 miliardi di dollari, un record. Da questa situazione nasce la necessità di distinguere tra il “disaccoppiamento” (decoupling, in inglese) e la “riduzione dei rischi” (derisking, in inglese) .

“ Disaccoppiamento” significa fermare tutti gli scambi economici tra i due paesi, uno scenario semplicemente impossibile su scala così vasta. Con “riduzione dei rischi”, invece, si intende la volontà di tagliare solo i legami economici nei settori più delicati, per scongiurare il rischio di ritrovarsi dipendenti dalla Cina come altri paesi erano dipendenti dal gas russo, per esempio.

Ma la Cina non accetta né la riduzione dei rischi né il disaccoppiamento, e si presenta come vittima. Eppure ci sono buone ragioni dietro la posizione degli Stati Uniti, dalle dubbie pratiche commerciali di Pechino alla minaccia su Taiwan, fino alla militarizzazione dei percorsi marittimi nel Mar cinese meridionale e al rispetto dei diritti umani all’interno della Cina.

Il G7 ha lasciato la porta aperta alla collaborazione con Pechino sui temi globali come il clima, ed è quello che chiedevano gli europei. Gli statunitensi, in generale, vorrebbero ridefinire i rapporti con la Cina per trovare il modo di essere in disaccordo senza rischiare un conflitto. Ma è difficile tendere la mano e al contempo aumentare la pressione. Se nelle prossime settimane non riprenderà il dialogo tra Pechino e Washington, è probabile che la guerra fredda in Asia durerà a lungo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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