I taliban hanno sbarrato una delle ultime finestre di libertà per le donne afgane: una radio che trasmetteva da Kabul ed era destinata specificamente alle ascoltatrici.
Radio Begum era stata inaugurata l’8 marzo del 2021, proprio poco prima del ritorno dei taliban al potere. Cinque mesi più tardi, in seguito all’ingresso a Kabul degli studenti coranici, l’emittente era diventata indispensabile. Negli ultimi anni ha garantito un sostegno scolastico alle bambine che non potevano studiare, uno spazio interattivo alle donne per parlare delle loro gioie e dei loro dolori e un ambiente virtuale per tutte coloro che non potevano accedere al mondo reale.
Il 4 febbraio i talebani hanno fatto irruzione nello studio dell’emittente a Kabul e hanno arrestato due dipendenti (uomini) che risultano ancora detenuti, notificando la sospensione del permesso di trasmissione. Ufficialmente, Radio Begum è accusata di fornire i suoi programmi a un canale televisivo che trasmette da Parigi da un anno, Begum TV, vero bersaglio del regime in quanto attivo dall’estero.
Secondo i dipendenti di Begum, la radio è stata presa in ostaggio per fare pressione sull’emittente televisiva. In ogni caso, si tratta dell’ennesima tappa di una manovra di soffocamento nei confronti delle donne, che non ha equivalenti nel mondo.
Negli ultimi tre anni i taliban hanno progressivamente cancellato la visibilità delle donne all’interno della società. È cominciato tutto con il divieto di frequentare le scuole superiori, prima che una serie infinita di decreti limitasse sempre di più lo spazio vitale delle donne. Alla fine del 2024 un decreto ha obbligato i proprietari di immobili a ridurre le dimensioni delle finestre in tutte le stanze dove potevano trovarsi le donne, “per proteggere i vicini da qualsiasi tentazione”, si legge nel testo. Ma anche, chiaramente, per renderle ancora meno visibili.
Un altro decreto aveva già privato le afgane della possibilità di cantare e recitare poesie, colpendo anche Radio Begum prima della sua chiusura. Il provvedimento aveva infatti costretto l’emittente a eliminare i jingle musicali e la poesia, un genere letterario molto importante in Afghanistan.
Il mondo non ha chiuso del tutto gli occhi davanti a questa situazione drammatica, ma il problema è che mancano i mezzi per fare pressione sul regime. Dopo la caduta di Kabul, infatti, gli occidentali non hanno quasi più rappresentanza diplomatica nella capitale afgana, e gli scambi con i talebani sono minimi.
Il governo afgano sta lentamente uscendo dall’isolamento stringendo legami con la Cina o i paesi del Golfo, che però agiscono spinti da interessi geopolitici ed economici e non hanno alcuna intenzione di occuparsi del destino delle donne.
Le Nazioni Unite, invece, non si tirano indietro. L’Alto commissario per i diritti umani Volker Türk ha ricordato che “nessun paese può progredire escludendo metà della popolazione dalla vita pubblica”.
In questo contesto si fa strada il concetto di “apartheid di genere”, ispirato al sistema discriminatorio imposto alla popolazione nera in Sudafrica. Una definizione efficace per fare capire al mondo quello che stanno subendo le donne afgane in nome di un’ideologia mortale.
Ma questo non cambia la loro sorte e la loro prigionia, aggravata dalla scomparsa di una delle ultime voci di speranza: quella di Radio Begum.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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