Donald Trump non fa sconti a nessuno. Gli europei, che dal 28 febbraio hanno intensificato gli sforzi per ricucire i rapporti tra gli Stati Uniti e il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj, si sono scontrati con un muro. Il presidente statunitense vorrebbe sospendere un miliardo di dollari in aiuti militari già approvati per l’Ucraina, una mossa senza precedenti su questa scala.

L’obiettivo è piegare la volontà del presidente ucraino, o addirittura spingerlo a dimettersi, come chiedono alcuni importanti politici repubblicani. Ufficialmente, gli aiuti saranno sbloccati se Zelenskyj mostrerà la sua disponibilità a negoziare con la Russia di Vladimir Putin, alle condizioni dettate da Trump.

Si tratta di una mossa diplomatica brutale nei confronti di un paese che dovrebbe essere un amico, se non un alleato. In guerra, tra l’altro, con una potenza che ha invaso il suo territorio. Ma secondo Trump il presidente ucraino gli ha mancato di rispetto nello studio ovale, alla Casa Bianca, e ora deve sottomettersi: se accetta di umiliarsi lo stop agli aiuti sarà revocato.

Gli europei, che il 2 marzo si sono riuniti a Londra in formazione ridotta, e questa settimana si incontreranno tutti di nuovo a Bruxelles, sono di sicuro preoccupati. Il divorzio con gli Stati Uniti ha appena raggiunto una fase decisiva.

Trump è alla ricerca disperata di un accordo con Putin, sia per incoronarsi come uomo di pace sia per riprendere a fare affari con Mosca. Lo dimostrano una serie di segnali a favore della Russia, come la cessazione degli attacchi hacker contro Mosca e lo scioglimento dei servizi responsabili del monitoraggio della disinformazione russa.

Chiunque si metta sulla strada del presidente degli Stati Uniti sarà schiacciato. Trump, infatti, ha rispetto solo per gli imperi, e non per i piccoli paesi.

Il ministro degli esteri ucraino Andrij Sybiha ha recentemente sottolineato l’importanza di evitare una nuova Yalta, alludendo alla divisione del mondo in sfere d’influenza stabilita alla fine della seconda guerra mondiale. I suoi peggiori timori si stanno però verificando.

C’è poi un interessante parallelo con quello sta succedendo in Israele. Ieri abbiamo saputo che Marco Rubio, il capo della diplomazia statunitense, ha accelerato l’approvazione di quattro miliardi di dollari di aiuti militari a Tel Aviv. Tutto questo in un momento in cui il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza rischia di interrompersi da un giorno all’altro. Israele ha infatti bloccato l’ingresso degli aiuti umanitari nel territorio palestinese, con il pieno sostegno dell’amministrazione statunitense.

Alla fine del suo mandato, l’ex presidente Joe Biden aveva sospeso alcune forniture di bombe particolarmente potenti a Tel Aviv, che Donald Trump si è affrettato a ripristinare. In ogni caso, in nessun momento della guerra Biden ha sospeso completamente gli aiuti a Israele, neanche quando era in totale disaccordo con il primo ministro Benjamin Netanyahu.

Ucraina e Israele sono due questioni molto diverse, ovviamente, ma c’è una sola spiegazione per la brutalità della nuova amministrazione statunitense nei confronti del primo paese e la sua compiacenza per il secondo: l’atteggiamento di Donald Trump nei confronti dei leader in questione. Nel caso di Zelenskyj, che non è molto malleabile, mostra disprezzo. A Netanyahu, che sa come parlare al narciso della Casa Bianca, è invece assicurato un sostegno incondizionato.

Un pensiero che fa riflettere in questi tempi di totale sconvolgimento strategico, e che preoccupa chi si aggrappa alla legge e alla fedeltà delle alleanze.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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