“Questa è grande tv!”, aveva esclamato Donald Trump al termine del suo incontro con Volodymyr Zelenskyj, che si era presto trasformato in un’umiliazione del presidente ucraino. Ormai da quattro mesi lo studio ovale, situato nell’ala ovest della Casa Bianca, è diventato un set televisivo in cui la “realtà alternativa” tanto cara al presidente statunitense ha la meglio sui fatti.
L’ultimo a farne le spese, il 21 maggio, è stato Cyril Ramaphosa, presidente del Sudafrica arrivato a Washington per cercare di risanare i rapporti incrinati con l’amministrazione Trump. Ramaphosa è caduto in una “trappola” (espressione usata dai giornalisti statunitensi) costruita e inscenata da Trump, in un teatro della crudeltà trasmesso in tv.
Il presidente ha addirittura mostrato al suo ospite un video che racconterebbe un presunto “genocidio” compiuto ai danni degli agricoltori bianchi in Sudafrica. Il New York Times lo ha analizzato, dimostrando che è infarcito di menzogne. È vero che alcuni agricoltori bianchi sono stati assassinati, ma in Sudafrica il tasso di criminalità elevato colpisce tutti i gruppi della popolazione. Parlare di genocidio o anche di apartheid al contrario è semplicemente assurdo.
Trump è un uomo di spettacolo. In passato ha condotto un suo reality show, The apprentice, con il tormentone “You’re fired” ripetuto ogni volta che voleva eliminare un concorrente. Oggi il presidente mette quell’esperienza al servizio del suo potere e della sua strategia comunicativa.
Trump può usare uno dei set più famosi al mondo. Tutti abbiamo visto lo studio ovale in serie e film, al punto che proviamo un senso di familiarità quando lo vediamo dal vivo per la prima volta. È quello che è successo a me lo scorso febbraio, quando ho accompagnato il presidente Emmanuel Macron nella sua visita a Washington.
Trump apre quasi ogni giorno lo studio ovale a giornalisti selezionati con cura. L’agenzia di stampa Associated Press è stata esclusa dopo essersi rifiutata di ribattezzare il Golfo del Messico come Golfo d’America. Nello studio ovale, Trump firma i suoi decreti, i famosi executive order, e riceve i visitatori stranieri. È lui che autorizza le domande e agisce come regista e attore principale di uno spettacolo ideato per celebrare la sua gloria.
L’esperienza ci insegna che Trump è debole con i forti e forte con i deboli, o con quelli che giudica tali. Alla fine di febbraio Zelenskyj si era sentito dire che non aveva “le carte in mano”, in un incontro in cui è stato sottoposto a una pesante umiliazione. Quanto a Ramaphosa, ha già perso tutti gli aiuti statunitense, anche a causa delle pressioni di Elon Musk, nato in Sudafrica, e Peter Thiel, altro magnate della tecnologia che in Sudafrica in parte è cresciuto.
Trump ha invece lasciato che Macron lo smentisse sull’aiuto europeo all’Ucraina, perché il presidente francese ha imparato a trattare con lui ai tempi del suo primo mandato. Tra l’altro in quell’incontro Trump ha ricordato con commozione la cerimonia inaugurale di Notre Dame, nel dicembre scorso.
La principale vittima di questa messa in scena sono i fatti. Ramaphosa non ha potuto difendere la verità a proposito di una situazione in Sudafrica che è innegabilmente difficile ma non ha nulla in comune con la caricatura che ne ha offerto Trump. Macron, sull’Ucraina, ha dovuto incassare una risposta disarmante: “Se ti fa piacere crederlo”, come a sottolineare “io la so più lunga di te”.
Una volta che l’ospite sopravvive allo show dello studio ovale, la trattativa può cominciare. Nel 2025 questa è la regola del gioco diplomatico nella prima potenza mondiale. Volenti o nolenti, bisogna tenerne conto.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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