Presto saranno passati venti mesi dall’attacco di Hamas nel sud di Israele, il 7 ottobre 2023, e dalla risposta israeliana nella Striscia di Gaza. Parliamo di due tragedie fuori dalla norma, anche in una regione che nell’ultimo secolo raramente ha vissuto la pace.
Eppure solo di recente i leader dei paesi occidentali hanno cominciato a criticare i metodi e la ferocia della vendetta israeliana. Queste prime critiche significative stanno suscitando forti tensioni tra Israele e alcuni alleati, tra cui la Francia.
Perché c’è voluto così tanto tempo prima che gli occidentali si risvegliassero, nonostante i fatti imputati allo stato ebraico siano noti da mesi? Solo per fare un esempio, il massacro di Gaza è stato descritto nei minimi dettagli nel libro pubblicato questa settimana in Francia da Jean-Pierre Filiu, intitolato Un historien à Gaza (”Uno storico a Gaza”, Editions Les Arènes). Filliu si trovava nella Striscia all’inizio dell’anno per una missione umanitaria.
Quello che Israele ha fatto costituisce verosimilmente una violazione del diritto internazionale umanitario. Le istituzioni della giustizia internazionale, d’altronde, hanno già attivato diverse procedure contro Tel Aviv. L’argomento è delicato, oltre che straziante, perché coinvolge la storia, la diplomazia e la coscienza collettiva delle società europee.
Esistono due spiegazioni per la prudenza degli stati occidentali davanti alla tragedia di Gaza. La prima è legata all’attacco terrorista del 7 ottobre e al trauma che ha provocato in Israele e nel mondo. Nessuno, in quel momento, negava a Israele il diritto di difendersi. L’attacco contro i civili e la cattura degli ostaggi sono crimini di guerra incontestabili.
I leader occidentali, però, hanno colpevolmente chiuso un occhio davanti alla violenza della risposta israeliana, anche quando è stato chiaro che si trattava di una punizione collettiva contro un’intera popolazione per atti compiuti da un gruppo ristretto. Questa vendetta indiscriminata è stata rivendicata dai leader israeliani, convinti che tutti i gazawi siano, per definizione, colpevoli.
La seconda spiegazione è più complessa ed è legata alla prudenza indispensabile per non infiammare le nostre società multietniche e divise dal conflitto israelo-palestinese. Per non parlare del senso di colpa degli europei derivato dal ricordo dell’Olocausto, che rende molto difficile qualsiasi critica radicale nei confronti dello stato ebraico.
Ma perché queste riserve stanno scomparendo proprio ora? Le informazioni e le immagini provenienti da Gaza sono talmente atroci che ormai è diventato impossibile tacere, a questo punto il silenzio costituisce una tacita approvazione. Il 2 marzo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha imposto un blocco degli aiuti umanitari e successivamente ha ripreso i bombardamenti e i trasferimenti forzati di palestinesi all’interno del territorio.
Quando otto giorni fa un deputato israeliano ha dichiarato fieramente che Israele aveva ucciso cento palestinesi e che il mondo restava indifferente, non ha fatto altro che dire la verità. Ma ora le cose sono cambiate. Molti paesi occidentali – tra cui la Francia, il Regno Unito e il Canada, che la settimana scorsa hanno diffuso una dichiarazione comune – hanno infranto il silenzio e minacciano Israele di prendere provvedimenti.
Oggi, in gioco, c’è la credibilità di tutti i governi occidentali, anche perché l’accusa di adottare due pesi e due misure sollevata dai paesi del sud del mondo dopo l’invasione russa dell’Ucraina ha colpito nel segno. C’è ancora molta strada da fare prima che queste reazioni abbiano un effetto concreto sul conflitto. Per il momento, resta il fatto che il silenzio non è più accettabile.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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