09 gennaio 2021 15:39

Quando la giudice distrettuale Vanessa Baraitser ha respinto la richiesta degli Stati Uniti di estradare Julian Assange, molti critici di sinistra e liberali hanno commentato questa decisione usando termini che ricordano le famose battute di Assassinio nella cattedrale di T.S. Eliot: “L’ultima tentazione è il più grande tradimento / Fare la cosa giusta per la ragione sbagliata”. Nel dramma, Becket ha paura che la sua “cosa giusta” (la decisione di resistere al re e sacrificarsi) sia fondata su una “ragione sbagliata” (la sua ricerca egoista della santità). Hegel avrebbe risposto a questa dilemma dicendo che ciò che conta nelle nostre azioni è il loro contenuto pubblico: se compio un sacrificio eroico, è questo che importa, indipendentemente dal fatto che i motivi personali ​​che mi spingono a farlo siano patologici.

Ma il rifiuto di estradare Assange negli Stati Uniti è un caso diverso: era ovviamente la cosa giusta da fare, ma ciò che è sbagliato sono i motivi dichiarati di questa decisione. Il giudice ha pienamente approvato l’affermazione delle autorità statunitensi secondo cui le attività di Assange non rientrano nel campo del giornalismo e ha giustificato la sua decisione adducendo esclusivamente motivi di salute mentale, ha detto infatti che: “L’impressione generale è di un uomo depresso e talvolta disperato, che è sinceramente spaventato per il suo futuro”. E ha aggiunto che, dato l’alto livello di intelligenza di Assange, probabilmente sarebbe riuscito a togliersi la vita.

Fare appello alla salute mentale è quindi una scusa per rendere giustizia, il messaggio pubblico implicito ma chiaro del giudice è: “So che l’accusa è sbagliata, ma non sono disposta ad ammetterlo, quindi preferisco puntare sulla salute mentale”. Senza contare che, ora che il tribunale ha rifiutato anche la cauzione, Assange rimarrà in quella prigione solitaria che lo ha portato alla disperazione suicida. La vita di Assange è (forse) salva, ma la sua causa (la battaglia per la libertà di stampa e per il diritto di rendere pubblici i crimini di stato) rimane un reato: è un bell’esempio di quello che è veramente l’umanitarismo dei nostri tribunali.

Un sistema elettorale truccato
Ma tutto questo è di dominio pubblico, quello che dovremmo fare invece è applicare i versi di Eliot ad altri due eventi politici recenti. La commedia che si è svolta a Washington il 6 gennaio 2020 non è forse la prova definitiva – se mai ce n’è bisogno – del fatto che Assange non dovrebbe essere estradato negli Stati Uniti? Sarebbe come estradare in Cina i dissidenti fuggiti da Hong Kong.

Quando ha fatto pressione su Mike Pence perché non certificasse i risultati elettorali, Trump ha chiesto al suo vicepresidente di fare la cosa giusta per il motivo sbagliato: sì, il sistema elettorale statunitense è truccato e corrotto, è un grande falso organizzato e controllato dal deep state. Le implicazioni della richiesta di Trump sono interessanti: ha sostenuto che Pence, invece di agire semplicemente come richiede il suo ruolo stabilito dalla costituzione, avrebbe potuto ritardare o ostacolare la ratificazione dei risultati elettorali che doveva avvenire in congresso. Dopo che i voti sono stati contati, il vicepresidente deve solo dichiarare il risultato, il cui contenuto è determinato in anticipo, mentre Trump voleva che Pence agisse come se stesse veramente prendendo una decisione. Quella che ha chiesto Trump non è stata una rivoluzione, ma un disperato tentativo di salvarsi costringendo Pence ad agire all’interno dell’ordine istituzionale prendendo la legge più alla lettera di quanto sia previsto.

Il secondo evento. Quando i sostenitori di Trump hanno invaso il campidoglio il 6 gennaio, hanno fatto anche loro la cosa giusta per il motivo sbagliato: avevano ragione di protestare contro il sistema elettorale statunitense con i suoi complicati meccanismi il cui scopo è rendere impossibile un’espressione diretta dell’insoddisfazione popolare (questo era stato chiaramente dichiarato dagli stessi padri fondatori). Ma il loro non è stato un tentativo di colpo di stato fascista: prima di prendere il potere, i fascisti stringono un accordo con il mondo degli affari, invece adesso le grandi imprese dicono che “Trump dovrebbe essere rimosso dall’incarico per preservare la democrazia”.

Quindi Trump ha incitato i manifestanti contro le grandi imprese? Non proprio, ricordiamoci che Steve Bannon è stato allontanato dalla Casa Bianca quando non solo si è opposto al piano fiscale di Trump, ma ha apertamente sostenuto l’aumento delle tasse per i ricchi al 40 per cento, oltre ad aver dichiarato che salvare le banche con il denaro pubblico è “socialismo per ricchi”. Trump che difende gli interessi della gente comune è come Kane, il protagonista del classico di Orson Welles Quarto potere: quando un ricco banchiere lo accusa di parlare a favore dei poveri, risponde che, sì, il suo giornale parla per la gente comune al fine di evitare il vero pericolo, e cioè che la gente comune parli per sé.

Le vere vittime di Trump
Come ha dimostrato lo studioso Yuval Kremnitzer, Trump è un populista che rimane all’interno del sistema. Come ogni populismo, anche quello di oggi diffida della rappresentanza politica fingendo di parlare direttamente in nome del popolo, si lamenta del fatto che ha le mani legate dal deep state e dall’establishment finanziario, quindi il suo messaggio è: “Se solo non avessimo le mani legate, saremmo in grado di liberarci dei nostri nemici una volta per tutte”. Tuttavia, in contrasto con il vecchio populismo autoritario (quello fascista), che è pronto ad abolire la democrazia rappresentativa per prendere davvero il sopravvento e imporre un nuovo ordine, il populismo di oggi non ha una visione coerente di un nuovo ordine, la sua ideologia e la sua politica sono un bricolage incoerente di misure per comprare i “nostri” poveri, per abbassare le tasse ai ricchi, per concentrare l’odio sugli immigrati e sull’élite corrotta che crea posti di lavoro all’estero, eccetera.

Ecco perché i populisti di oggi non vogliono davvero sbarazzarsi della democrazia rappresentativa e assumere i pieni poteri: “Senza le ‘catene’ dell’ordine liberale contro cui lottare, la nuova destra dovrebbe cominciare a intraprendere qualche azione reale, e questo renderebbe evidente la vacuità del suo programma”, dice Kremnitzer. I populisti di oggi possono andare avanti solo rinviando a tempo indeterminato il raggiungimento del loro obiettivo, ben sapendo che possono funzionare solo in opposizione al deep state dell’establishment liberale: “La nuova destra non cerca, almeno non in questa fase, di stabilire un valore supremo – un’identità nazionale o un leader – che esprimerebbe pienamente la volontà del popolo e quindi consentirebbe e forse addirittura richiederebbe l’abolizione dei meccanismi di rappresentanza”, aggiunge ancora Kremnitzer.

Ciò significa che le vere vittime di Trump sono i suoi sostenitori, che prendono sul serio le sue chiacchiere contro le élite liberali e le grandi banche. È il traditore della sua stessa causa populista. I suoi critici liberali lo accusano di controllare solo apparentemente i suoi sostenitori pronti a combattere per lui, che è davvero al loro fianco e li incita alla violenza. Ma non è veramente dalla loro parte. La mattina del 6 gennaio si è rivolto alla folla radunata davanti alla Casa Bianca dicendo: “Andremo a piedi in campidoglio. E faremo il tifo per i nostri coraggiosi senatori, e deputati al congresso. Ma probabilmente non tiferemo per tutti loro, perché non riprenderemo mai il nostro paese con la debolezza, dobbiamo dimostrare di essere forti”. Ma poi, quando la folla lo ha fatto sul serio e ha marciato verso il campidoglio, il presidente uscente si è ritirato alla Casa Bianca e ha guardato in televisione le violenze commesse dalla stessa folla.

Trump voleva davvero fare un colpo di stato? Inequivocabilmente no. Quando la folla è entrata nel campidoglio, ha fatto una dichiarazione: “Conosco il vostro dolore, conosco la vostra rabbia. Ci hanno rubato le elezioni. La nostra vittoria è stata schiacciante, e lo sanno tutti, soprattutto dall’altra parte. Ma adesso dovete tornare a casa. Deve tornare la pace. Devono tornare l’ordine e la legalità”. Trump ha incolpato i suoi oppositori delle violenze e ha elogiato i suoi sostenitori, dicendo: “Non possiamo fare il gioco di questa gente. Dobbiamo avere pace. Quindi andate a casa. Vi vogliamo bene; siete molto speciali”.

E quando la folla ha cominciato a disperdersi, Trump ha pubblicato un tweet in difesa del comportamento dei suoi sostenitori che hanno preso d’assalto e vandalizzato il campidoglio: “Queste sono le cose che succedono quando una schiacciante vittoria elettorale viene rubata brutalmente e senza tante cerimonie”. E ha concluso il suo tweet dicendo: “Ricordate questo giorno per sempre!”. Sì, dovremmo ricordarlo tutti, perché ha dimostrato sia la falsità della democrazia statunitense sia quella delle proteste populiste contro di essa.

Negli Stati Uniti solo poche elezioni hanno contato veramente, come quelle governative in California del 1934, in cui il candidato democratico Upton Sinclair perse perché l’intero establishment organizzò una campagna inaudita di bugie e diffamazione (Hollywood annunciò addirittura che, se Sinclair avesse vinto, si sarebbe trasferita in Florida).

Un codardo, non un eroe
Giovedì 7 gennaio Trump ha tenuto un altro breve discorso in cui, contraddicendo quanto detto prima, ha condannato senza ambiguità l’attacco al campidoglio come una minaccia alla legalità e ha promesso di collaborare alla transizione pacifica del potere. Probabilmente l’ha detto per paura del suo destino personale, e questo ha solo confermato che era ed è un membro dell’establishment, non un eroe della destra ma un codardo. Non c’è da stupirsi se le masse dei suoi fan lo stanno già descrivendo come un “traditore”, parte della “palude” di Washington che aveva promesso di bonificare. Questo, ovviamente, non significa che i suoi sostenitori sono dei progressisti traditi: hanno espresso il loro malcontento in modo populista nello stile della destra. C’è un briciolo di verità nelle loro lamentele, ma loro stessi l’hanno tradito comportandosi come hanno fatto. Per quanto possa sembrare folle, se lo pensassero seriamente, avrebbero dovuto schierarsi con Bernie Sanders.

Il fatto che una folla furiosa e insoddisfatta attacchi il parlamento per conto di un presidente popolare privato del suo potere da manipolazioni parlamentari vi suona familiare? Certo, sarebbe dovuto succedere in Brasile o in Bolivia, lì la folla dei sostenitori del presidente avrebbe avuto il pieno diritto di assaltare il parlamento e rimettere il presidente al suo posto. Negli Stati Uniti si stava svolgendo una partita completamente diversa. Speriamo quindi che quanto accaduto il 6 gennaio a Washington fermi almeno l’oscenità degli Stati Uniti che mandano osservatori in altri paesi quando ci sono delle elezioni per giudicarne la correttezza. Adesso sono le elezioni americane ad aver bisogno di osservatori stranieri. Gli Stati Uniti sono un “paese canaglia” non solo da quando Trump è diventato presidente: la (quasi) guerra civile in corso mostra una spaccatura che c’è sempre stata.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede negli Stati Uniti. Ci si iscrive qui.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it