23 ottobre 2019 11:21

Si dice che la Brexit sia una faccenda di diabolica complessità, tanto che spesso è paragonata a una partita a scacchi tridimensionali, una variante alla portata solo dei più grandi maestri.

Ma le cose sono più semplici di quanto sembrino. La Brexit, in realtà, è soltanto una noiosa partita a tris in salsa politica, in cui ogni giocatore non fa altro che contrastare la mossa dell’avversario senza riuscire mai a prevalere. Per vincere a questo gioco non serve essere abili strateghi. Basta che l’avversario sbagli prima.

Questo è il modo migliore per spiegare la serie di oscure e accese battaglie che si sono svolte in settimana a Westminster tra il governo del primo ministro Boris Johnson e i suoi oppositori. In parlamento i contendenti sostengono di battersi per un determinato emendamento o una tale mozione, ma non è così. La verità è che partecipano a un gioco molto più grande e allo stesso tempo più semplice, in cui ogni schieramento cerca di non commettere un errore che renderebbe la sconfitta inevitabile.

Prolungare la partita
Il problema è che finora, nel contesto della Brexit, i due fronti si sono annullati a vicenda e hanno sempre trovato un modo per prolungare la partita. Dato che nessun partito può contare su una maggioranza in parlamento, ogni mossa del governo innesca la contromossa dell’opposizione. Un passo avanti, un passo indietro.

L’opposizione, unita da un’idea chiara di cosa vuole contrastare, si è dimostrata incapace di trovare un’accordo su cosa vuole proporre, dunque non può prevalere sul governo: non vuole che il Regno Unito esca dall’Unione europea senza un accordo e quindi blocca tutte le mosse di Johnson per forzare il no deal, ma al contempo non è compatta a sostegno di un secondo referendum, dunque non può imporlo. Il risultato è un’infinita messa in scena in cui ognuno traccia la sua X e la sua O senza che ci sia alcuna possibilità di svolta.

Stando alle pubbliche dichiarazioni di maggioranza e opposizione il governo sarebbe più vicino che mai a trovare un consenso sulla Brexit

Ora, però, sembra che la situazione stia per cambiare. Nell’ultima settimana è accaduto qualcosa di significativo che potrebbe alterare lo svolgimento della partita. Il cambiamento è stato impercettibile e ancora per qualche giorno continuerà a essere oscurato dal teatro politico di battaglie parlamentari, ma per la prima volta in tre anni il governo britannico, almeno sulla carta, sembra aver accorpato una maggioranza parlamentare a sostegno di un accordo per l’uscita dall’Unione. Il piano potrebbe sempre crollare, ma è comunque un momento importante.

La sterzata è arrivata la settimana scorsa, quando Johnson ha trovato un accordo con Bruxelles che apre la strada a una Brexit “dura”. L’intesa, che al momento non è condivisa dal Partito unionista democratico nordirlandese, comporterebbe un rapporto con l’Unione più allentato sul piano politico ed economico rispetto a quanto proposto dalla premier precedente, Theresa May. Con la sua mossa, Johnson ha ottenuto due importanti risultati: per prima cosa ha unito il Partito conservatore, coinvolgendo anche la maggioranza dei parlamentari che aveva estromesso per averlo “tradito”; in secondo luogo ha ottenuto l’appoggio di molta parte dell’opposizione che sostiene la Brexit. Nel complesso, stando alle intenzioni dichiarate pubblicamente, questo significa che per la prima volta il governo può contare su una maggioranza (risicata) a favore della Brexit, una situazione a cui May non si era mai nemmeno avvicinata.

Questa realtà è stata eclissata durante il fine settimana con la notizia di un possibile rinvio dell’accordo per consentire al parlamento di analizzare il documento, un passaggio indispensabile per integrare il trattato sul “divorzio” dall’Unione nel diritto britannico. In altre parole è stata spostata in avanti la resa dei conti in cui il parlamento deciderà se dare il suo via libera a Johnson. La stessa tattica è stata riproposta dai parlamentari il 23 ottobre, che hanno deciso di prendersi più tempo per discutere il trattato proposto. Oltre a creare effettivamente la possibilità di un’analisi più approfondita, queste manovre servono anche a temporeggiare nella speranza che Johnson commetta un errore.

Due possibili scenari
La tattica ha funzionato, anche perché un numero sufficiente di parlamentari dello schieramento di Johnson è ancora preoccupato dalla prospettiva di un no deal accidentale e ha votato contro il governo. I consulenti più vicini al primo ministro temono che la stessa situazione si ripresenti nuovamente nella giornata di oggi. Se sarà effettivamente così, è a rischio la promessa di Johnson di realizzare la Brexit “a qualunque costo” entro il 31 ottobre. Precisamente quello che vorrebbe l’opposizione.

Un aspetto da non trascurare è che un numero significativo di parlamentari favorevole al rinvio ha dichiarato di voler sostenere l’ultimo accordo per la Brexit. In altre parole, nonostante siano pronti a rallentare il processo, questi parlamentari sembrano disposti a rientrare nei ranghi e appoggiare Johnson.

Se i numeri resteranno invariati, la partita di tris diventerà sbilanciata, con l’opposizione che non potrà far altro che rinviarne la conclusione a meno di trovare un modo per spaccare la maggioranza favorevole alla Brexit.

A questo punto per l’opposizione esistono due possibili scenari: continuare a rinviare la Brexit e rischiare un ritorno alle urne per cui Johnson è ben posizionato (alla guida di un partito compatto e con un accordo da presentare all’opinione pubblica) o alzare bandiera bianca e accettare la Brexit.

Una volta che il Regno Unito sarà fuori dall’Unione europea, il panorama politico del paese cambierà irreversibilmente

La partita, comunque, non è ancora decisa. La coalizione di Johnson è fragile e il primo ministro, sotto pressione, potrebbe commettere un errore fatale. Per esempio persistono forti dubbi sulla prospettiva di controllare le merci in transito dall’Irlanda del Nord al resto del Regno Unito, creando un confine simbolico tra due aree dello stesso paese che potrebbe far scattare una grave crisi politica.

A tutto questo bisogna aggiungere una serie di asterischi da mettere in grassetto, sottolineati ed evidenziati. Prima di tutto non è detto che Johnson conserverà l’appoggio dei parlamentari laburisti che hanno abbandonato l’opposizione per sostenere il primo ministro, e in secondo luogo l’opposizione sembra avere ancora i numeri per ostacolare la tempistica del governo e magari aprire un dibattito su alcuni punti dell’accordo trovato da Jonson.

È probabile che nelle prossime due settimane i parlamentari ricorrano a tutta la loro astuzia politica per complicare la vita al primo ministro sperando di indurlo in errore, presentando una serie di emendamenti – per esempio sulla protezione dei diritti dei lavoratori o su una possibile unione doganale con l’Europa – che se approvati metterebbero in seria difficoltà alcuni parlamentari favorevoli all’accordo, creando un forte imbarazzo per Johnson e il suo governo. Il partito conservatore, non esattamente un esempio di disciplina sul tema Europa, dovrà dare prova di grande unità.

Il principale asterisco, comunque, riguarda il lungo periodo. Una volta che il Regno Unito sarà fuori dall’Unione europea, il panorama politico del paese cambierà irreversibilmente. I partiti d’opposizione devono decidere se accettare o meno la nuova realtà costituzionale. Johnson, dal canto suo, si presenterà alle prossime elezioni come l’uomo che ha realizzato la Brexit.

In questo momento non esiste un consenso su quale sarà il futuro rapporto tra Londra e l’Europa, perché l’accordo raggiunto da Johnson fissa solo i termini per l’uscita del Regno Unito dall’Unione. I parlamentari laburisti preferirebbero un rapporto più stretto con Bruxelles basato sulla parità di diritti per i lavoratori e il rispetto degli standard minimi europei, mentre i tory vorrebbero che il Regno Unito fosse più libero di competere sul piano economico.

Fino a quando Johnson non otterrà una maggioranza comoda, la partita di tris andrà avanti anche dopo la Brexit, in un’alternanza infinita di mosse e contromosse.

Anche se Londra dovesse uscire dall’Unione il prossimo 31 ottobre, come da programma, dovrebbe presto affrontare una nuova crisi e decidere se intende prolungare il “periodo di transizione” previsto dall’accordo, una sorta di ponte tra la piena adesione all’Unione europea e il futuro rapporto (qualunque esso sia) tra le due entità. Secondo gli esperti ci sono poche possibilità che il Regno Unito trovi un accordo di libero scambio con Bruxelles prima della fine del 2020, al termine del periodo di transizione. Questo significa che in estate Johnson potrebbe essere costretto a chiedere un’estensione di un anno o due, uno scenario aborrito dai suoi stessi parlamentari. Nel frattempo il primo ministro dovrà stabilire che tipo di accordo commerciale intende negoziare con l’Unione.

Per il Regno Unito, insomma, si sta lentamente e faticosamente avvicinando il finale della prima battaglia. Ma la guerra è appena cominciata, e andrà avanti anche se Johnson dovesse riuscire a conservare la sua delicata maggioranza. Benvenuti nella Brexit senza fine.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito su The Atlantic. Leggi la versione originale. © 2019. Tutti i diritti riservati. Distribuito da Tribune Content Agency.

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