21 luglio 2016 18:27

Non c’è mai stato un periodo come questo, per le notizie. Ondata dopo ondata, ecco che arriva il mio primo ciclo di grandi eventi su Twitter.

Michael Gove potrà anche dire che siamo stufi degli esperti, ma Twitter è un ritrovo di sedicenti esperti. Io che dubito spesso della mia competenza e detesto l’incertezza, ci vado sperando di trovarci fatti e opinioni, senza mai concludere niente. Twitter è anche pieno di gente che adora il panico o il suono della propria voce: due tipologie di persone che non digerisco.

La sera del referendum mi ero piazzata sul divano con vino e stuzzichini. Non erano previsti exit poll, ma qualcuno mi aveva detto di verificare l’andamento della sterlina alle dieci. Le banche avevano commissionato sondaggi privati, quindi se la sterlina scendeva non era un buon segno per i sostenitori del Remain. All’improvviso, mi è balenato per la mente un pensiero: “Ma chi mi credo di essere? Che ne so, io, del valore della sterlina?”. Twitter, però, mi aveva convinto che ero qualificata a parlare di cose del genere.

E questo è solo l’inizio. Con il passare dei giorni e l’evolversi della situazione, continuo a preoccuparmi e a leggere infiniti approfondimenti su chi sarà il prossimo a dimettersi e cinquanta articoli sull’Articolo 50 del trattato di Lisbona. Non smette di piovere, i tuoni fanno tremare i vetri delle finestre e Ben è in tour, così mi rannicchio insieme agli altri su Twitter in cerca di un po’ di calore, cercando conforto nello sgomento degli altri, alimentando le reciproche paranoie. Mi scoppia un eczema, che non posso fare a meno di considerare un Breczema, perché come tutti – Dio mi aiuti – sto dando i numeri anch’io.

Abbiamo tutti i nervi a fior di pelle. Siamo tutti esperti. Ogni due secondi qualcuno rischia di dire una stupidaggine

Ho letto sul New Statesman l’articolo in cui Stephen Bush paragona la vittoria del Leave a Hull e a Hampstead, e avendo vissuto in tutt’e due i posti so esattamente di cosa parla. Mi arrabbio con qualcuno che twitta malignamente che Hull sta per diventare Città europea della cultura, ma ha votato Leave, ahahaha, poveri idioti. Scatto sulla difensiva e sto già per ribattere che Hull sarà dichiarata Città “inglese” – e non europea – della cultura. E comunque, che cosa voleva dire, il tipo, con quel commento? Che di tutti i posti dimenticati e bistrattati ma fieramente battaglieri, Hull non meriti o non abbia bisogno di un anno di attenzione, investimenti e celebrazioni? Mi trattengo. Un tweet e mi ritiro, ricordando la mia regola d’oro del non farmi trascinare in discussioni inutili su Twitter. Abbiamo tutti i nervi a fior di pelle, in questo momento. Siamo tutti esperti. Ogni due secondi qualcuno rischia di dire una stupidaggine.

Per fortuna, ho prenotato una breve vacanza con una delle mie figlie – una gita a Hay-on-Wye, nel Galles – e lascio Londra sperando di non trovare campo per il cellulare e che il wifi dell’airbnb non funzioni. Dopo il viaggio in treno fino a Hereford un autobus ci sballotta lungo le stradine tortuose che portano a Hay, e ci rifugiamo nel nostro piccolo appartamento sopra una boutique, con un balcone affacciato sulle colline. Il cinguettio degli uccelli, il belato delle pecore in lontananza, Wimbledon in tv, il rumore rassicurante della palla da tennis, le urla del giudice di gara. John McEnroe commenta puntuale e implacabile con quella voce nasale che mi riporta di colpo alle mia infanzia. Mamma che guarda il tennis con le tende chiuse in un giorno di sole. È un esperto, penso. Mi piace ascoltarlo.

Compriamo cubetti al caramello salato e gin (la figliola ha 18 anni). Dopodiché prepariamo uno spuntino e partiamo per una camminata che, come tante camminate in campagna, consiste per lo più nel girare intorno ai bordi di un campo, alla ricerca di un parapetto o di un cancello, per poi ripetere la stessa cosa nel campo successivo. Facciamo un picnic sotto un albero, circondati da pecore che ci guardano diffidenti. Una ha una tosse secca, altrimenti c’è solo il ronzio del silenzio estivo. Il brontolio di un trattore. Ogni tanto un moscerino.

Ma tornati all’appartamento delle vacanze il wifi funziona e non riesco a sfuggire ai notiziari, perché per me sono una droga, e così non sono del tutto rilassata. I cartelli stradali sono tutti in gallese e in inglese, e facciamo un’altra passeggiata. La guida turistica continua a dirci quando abbiamo attraversato un confine. “Ora siete in Inghilterra”, dice. “Ora siete rientrati nel Galles”. Mi piace questo tipo di confine. Sembra aperto e amichevole, quasi immaginario. Penso all’altro tipo.

La mattina dopo arriva il rapporto Chilcot, e comincia a piovere.

(Traduzione di Diana Corsini)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Statesman.

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