28 ottobre 2016 11:04

Il ragazzino accanto a me ha tutta l’aria di essere andato in overdose. Non sembra avere più di otto anni ma, come vengo a sapere più tardi, ne ha compiuti ben dodici. Ha un pessimo odore, probabilmente se l’è fatta addosso. Di certo non si lava da qualche giorno. Si vede chiaramente che è in pericolo di vita, così lo trascino fino alla mia auto.

Mi avvio verso l’ospedale pensando con terrore a quello che mi diranno i medici: il ragazzino viene dal quartiere di Ferentari e mi aspetto reazioni razziste. Ma sono un idiota. La dottoressa è interessata solo a salvare il bambino. E ci riesce.

Due infermiere si comportano in maniera impeccabile con lui e qualche giorno dopo, quando vado a riprenderlo per portarlo a casa, mi rendo conto di aver imparato un’importante lezione sui miei pregiudizi.

Da questa vicenda sono passati diversi anni. Il ragazzo mi è rimasto vicino e ha frequentato la scuola. Non ha più toccato droga. L’ho incontrato ieri al mercato: fa il fruttivendolo. Ho fatto la spesa da lui e non voleva farmi pagare. Alla fine l’ho convinto che era giusto pagare per quello che avevo comprato. È un ragazzo carino, ed è riuscito ad affrancarsi dal ghetto. Oggi sta bene, e starà bene anche in futuro. Ci siamo stretti la mano e ci siamo scambiati un sorriso.

Nel corso degli anni ho visto troppi ragazzi poverissimi. Ho parlato e ho lavorato con troppi ragazzi ridotti davvero male. Ragazzi che avevano visto e vissuto cose che non dovrebbero nemmeno esistere. Tante volte sono stato insultato e guardato con sospetto dalla gente del quartiere. Tante volte i vestiti e le scarpe che avevo comprato e distribuito sono stati venduti.

Ho mandato giù un mucchio di meschinità razziste non solo da parte dei romeni

La stessa cosa è successa con il cibo che portavo: buttato via. Anche i frigoriferi, venduti. Diverse decine di paia di scarpe da ginnastica sono state rubate dai ragazzi con cui facevo sport. Questo è quello che è successo nei miei primi anni a Ferentari.

Ho mandato giù un mucchio di meschinità razziste non solo da parte dei romeni, ma anche dei rom di Ferentari. Ci sono ancora troppe persone che intravedono dei secondi fini dietro alla mia determinazione nel lavorare con i ragazzi del quartiere.

Oggi, mentre scrivevo quest’articolo, nel centro che gestiamo sono venuti quarantotto bambini a fare i compiti. Domenica, dopo le 11, quarantotto ragazzini sono arrivati volontariamente per studiare. Sono quasi tutti molto poveri. Vivono in ambienti violenti e per loro gli abusi di ogni sorta sono parte della quotidianità.

Ventotto volontari, soprattutto giovani e professionisti di successo, sono rimasti per due ore a lavorare con questi ragazzini. Per quelli che vengono costantemente, rispetto a due anni fa la differenza si vede. È indiscutibilmente questa la più grande soddisfazione personale e professionale che ho avuto.

Tirare fuori il meglio dalle persone
Da più di un anno le scarpe da ginnastica non spariscono più. Nessuno vende più le cose che distribuiamo. A Ferentari per strada ci sono persone che mi salutano. Ne conosco poche. Spesso, quando acquisto dei fiori, della frutta o qualche cosa da mangiare, i commessi rifiutano di prendermi i soldi: vogliono offrirmi il loro aiuto in qualche modo. Evito anche di farmi lavare l’auto nel quartiere, perché alla fine non mi fanno mai pagare. Sono i ragazzi con cui ho lavorato nel centro, i loro padri, oppure persone che mi conoscono per sentito dire e si sentono offese alla sola idea che io paghi.

Probabilmente a Ferentari vive la maggior parte dei ragazzi di Bucarest che hanno problemi di droga. Probabilmente è qui che succede la gran parte degli episodi violenti della città. E probabilmente qui c’è il più alto numero di adolescenti che si prostituiscono. Il quartiere di Ferentari non è un bel posto, ma ha il potere di tirar fuori il meglio dalle persone.

Quasi ogni settimana viene ad aiutarci al centro come volontario un tipo distinto che è tra i migliori statistici della Romania e lavora per un’importante organizzazione internazionale. Ogni volta porta con sé diversi test per i ragazzi. La domenica rimane un paio d’ore, cercando di far capire ai bambini come funzionano quelle lettere birichine dell’alfabeto. La domenica vengono anche altri due volontari, tra i migliori giornalisti del paese, e si fermano a lavorare con i ragazzi, a cui si sono molto affezionati.

Per Gabriela, i tre piani di scale del palazzo in cui lavoriamo con i bambini sono una sofferenza. Come molte altre scuole di Bucarest, l’edificio non è accessibile alle persone con disabilità. Ma i bambini sono così entusiasti della sua presenza che fanno a gara per avere il privilegio di fare i compiti con “la signora”.

Difficilmente avrei potuto immaginare di avere amici migliori di quelli che ho

Oggi Raluca è venuta con un piede ingessato per non deludere il bambino che aveva seguito e aiutato a fare i compiti per alcune settimane di fila. È venuta accompagnata da Maria. Circa un anno fa Maria si era rotta il tendine d’Achille giocando a pallone con i bambini. Per diversi mesi è venuta con le stampelle: è soprattutto merito suo se Toto è riuscito a superare l’anno scolastico. Alla fine della giornata le ho accompagnate a casa. Quando sono scese dall’auto ho pensato che difficilmente avrei potuto immaginare di avere amici migliori di quelli che ho.

Poi sono andato all’aeroporto per prendere un aereo. Arrivato a Vienna, ho incontrato Madalina, una delle più competenti esperte di marketing della Romania. Con Madalina a volte abbiamo organizzato il trasporto e la distribuzione di frigoriferi e lavatrici alle famiglie del ghetto di Ferentari. A volte ci ha aiutato anche sua sorella. Ci siamo salutati elegantemente e abbiamo fissato il prossimo appuntamento a Ferentari. In questo istante, mentre sto finendo di scrivere l’articolo, un’altra Madalina e un tale Vlad mi mandano alcune foto da un museo che ho visitato in passato in compagnia di Armando e Dario.

Dopo un po’ di tempo passato all’estero, sono tornato in Romania dieci anni fa. Ho sbattuto la testa un sacco di volte e mi sono rimasti diversi bernoccoli. Ho vissuto più di un fallimento e me la sono presa parecchio per le cose che non funzionavano. Nonostante tutto, però, la mia Romania è un posto meraviglioso, perché le persone che mi circondano sono persone che ammiro e che spesso invidio, per quello che sono e per quello che fanno.

(Traduzione di Mihaela Topala)

Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale romeno Dilema Veche.

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