L’improvvisa morte di Ahmed Chalabi, scomparso il 3 novembre all’età di 70 anni, ha fatto nuovamente discutere gli iracheni a proposito del suo ruolo nella storia del paese. Da una parte ci sono molti sunniti e gli ex appartenenti al partito Baath, che lo considerano responsabile dell’invasione statunitense del 2003 e di tutti i mali che ne sono seguiti. Dall’altra ci sono quelli, soprattutto sciiti e curdi, che lo ritengono un leader carismatico senza il cui acume non sarebbe mai stato possibile liberarsi di quel mostro di Saddam Hussein.

Prima del 2003 Chalabi era riuscito a far convergere nell’Iraqi national congress tutti gli oppositori in esilio di Hussein, a prescindere dalle loro differenze etniche e religiose. Grazie ai suoi contatti negli Stati Uniti era riuscito a convincere i neoconservatori che con le sue armi di distruzione di massa Saddam Hussein era una minaccia alla pace mondiale o, per dirla con le parole dei suoi oppositori, ha fornito agli statunitensi la bugia di cui avevano bisogno per giustificare la loro aggressione.

Figlio di un miliardario iracheno, Chalabi si era laureato in economia al Massachussetts institute of technology e si pensava fosse destinato a svolgere un ruolo di primo piano dopo l’invasione, ma presto gli statunitensi lo hanno accusato di essere un agente dell’Iran e lo hanno allontanato dal potere. La sua morte improvvisa ha suscitato parecchi sospetti: è stato davvero vittima di un attacco cardiaco o è stato avvelenato?

Secondo lo psichiatra Qasim Hassan, Chalabi è morto perché non è riuscito ad arrivare dove voleva: essere primo ministro in un momento così importante. Gli amici di Chalabi invece pensano che avesse le prove della corruzione nel governo e che sia stato ucciso perché minacciava di fare i nomi. Anche con la sua morte, Chalabi continua a dividere gli iracheni.

(Traduzione di Gabriele Crescente)

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