15 giugno 2020 17:32

Proprio all’avvio del “dialogo strategico” tra l’Iraq e gli Stati Uniti un razzo ha colpito la Zona verde di Baghdad, dove c’è la sede dell’ambasciata statunitense, in cui si stavano svolgendo i negoziati. Nessuno ha rivendicato la responsabilità dell’attacco ma è certo che una delle milizie filoiraniane attive in Iraq abbia voluto ricordare ai negoziatori: “Ci siamo anche noi”. In realtà non era necessario un razzo come promemoria, perché la delegazione irachena è ben consapevole della necessità di mantenere un equilibrio nelle relazioni con gli Stati Uniti e l’Iran, due potenze rivali.

Allo stesso tempo il nuovo primo ministro Mustafa al Kadhimi non può ignorare il voto del parlamento iracheno che si è espresso a favore del ritiro dal paese delle forze statunitensi. In realtà finora è stato chiaro che il ritiro totale, chiesto dall’Iran, non è in programma per nessuna delle due parti. Un buon compromesso per entrambi sarebbe una riduzione della presenza militare statunitense in Iraq.

Riduzione progressiva
Nella dichiarazione finale dell’incontro dell’11 giugno si afferma che il ritiro delle forze statunitensi non è stato l’argomento principale dei colloqui. Eppure occupa la parte più lunga della dichiarazione: “Nei prossimi mesi gli Stati Uniti continueranno a ridurre le proprie forze in Iraq e discuteranno con il governo lo status delle forze rimanenti, mentre entrambi i paesi concentreranno la loro attenzione sullo sviluppo di una relazione di sicurezza bilaterale basata su forti interessi comuni”.

La dichiarazione specificava che gli Stati Uniti non desiderano né richiedono basi o una presenza militare permanente in Iraq. Il numero di soldati statunitensi diminuirà da 5.200 a 2.500 unità, da impiegare nella cooperazione e nell’addestramento. Lo status delle milizie irachene sostenute dall’Iran è stato un elemento importante nelle trattative, ma la dichiarazione afferma di lasciare al governo iracheno il compito di “proteggere il personale militare della coalizione internazionale e le strutture irachene che lo ospitano, in ottemperanza al diritto internazionale e agli accordi specifici per la loro presenza nei modi che verranno stabiliti dai due paesi”.

Tra gli altri argomenti, si è parlato anche delle future elezioni, dei diritti umani, ma soprattutto della necessità urgente per l’Iraq di un sostegno economico, di fronte alle sfide poste dalla pandemia di covid-19 e dal crollo dei prezzi del petrolio.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it