17 agosto 2018 12:30

La donna ha i capelli corti, biondi. Un viso aperto e allegro. Mi porge il libro, il mio romanzo, per avere una dedica. Siamo alla Livraria Cultura di São Paulo, in avenida Paulista. È una giornata piovosa, tipica dell’agosto brasiliano. Guardo Adriana, si chiama così, e vedo nel suo viso qualcosa di familiare. “Ha origini italiane?”, le chiedo. Annuisce. “I miei bisnonni erano di Grezzano e Rovere Veronese. Sono scappati dalla fame”. A São Paulo, e non solo, chi è di origine italiana è quasi sempre veneto o friulano. La donna a un certo punto dice: “Quando torna in Italia glielo deve dire ai veneti che la regione, che era in ginocchio tanti anni fa, si è rimessa in piedi solo grazie alle nostre rimesse, grazie alla generazione dei nostri nonni e dei nostri padri”. Poi si ferma: “A me piace sempre tornare lì, fare escursioni sui monti Lessini, ma fa male vedere quanto si siano dimenticati dei sacrifici degli emigranti. Non conoscono la storia di chi ha sofferto. Di tutte le famiglie che sono qui”.

Adriana è uno dei tanti volti che ho visto in questo viaggio di due settimane che ho fatto in Brasile in occasione del festival di letteratura Flip, che coinvolge l’editoria di tutto il paese. Paraty, dove si svolge, è il più meridionale dei comuni dello stato di Rio de Janeiro. Una città antica e ben conservata. Da qui passava l’oro proveniente dalle miniere dello stato di Minas Gerais, nel sudest del Brasile. Le strade sono ancora difficili da percorrere con i loro enormi sampietrini, e tra le vie labirintiche è facile perdersi. “La città”, dice Simone Paulino, fondatrice della casa editrice Nos “si doveva difendere dai pirati”.

Flip nasce nel 2003 per riunire le migliori penne e le migliori menti del Brasile. “Ma all’inizio”, spiega Paulino, “era un festival fatto esclusivamente da bianchi, perlopiù maschi. C’è voluto un grande lavoro per renderlo inclusivo per le donne, per gli afrodiscendenti e per le minoranze”. Guardando il programma si nota subito la loro presenza, da Colson Whitehead ad Alain Mabanckou, passando per l’afroabrasiliana Djamila Ribeiro.

La politica
Il festival non esiste solo nel tendone della piazza principale di Paraty, ci sono un sacco di eventi collaterali. Editrici ed editori prendono in gestione delle case (appartamenti o centri artistici) e per tutto il festival è lì che i lettori incontrano scrittrici e scrittori. È in una di queste case che conosco i gruppi che hanno animato due hashtag di cui si parla tanto in Brasile. #LeiaMulheres (Leggere donna) e #Leiamulheresnegras (Leggi donne nere). Mi spiegano che dietro quegli hashtag ci sono fanzine, gruppi di lettura, iniziative in tutto il paese. “È un atto politico”, mi dicono, “noi donne dobbiamo tornare a essere protagoniste della nostra vita”, tornare protagoniste in un paese dove i tassi di femminicidio sono tra i più alti nel mondo.

Nelle case sono proprio le donne ad animare gli incontri più affollati. La fila per l’autrice afrodiscendente Conçeicao Evaristo (non ancora tradotta in Italia) è impressionante. Sono quasi tutti giovani, e tutti con in mano uno dei suoi libri: Olhos d’água, Becos da memória. Evaristo è stata tra le prime donne nere a studiare, insegnare, scrivere e ad avere successo. Ha capelli grigio perla che la fanno somigliare a Josephine Baker. Ma lei è massiccia, la pelle nera e lo smalto rosso sulle unghie. Le ragazze che la accolgono sono soprattutto ventenni, le chiedono consiglio, fanno foto e quasi cercano una benedizione.

La casa che ospita l’incontro con Evaristo si chiama Casa Paratodos, dal verso di una canzone di Chico Buarque. In realtà non è una casa, ma la galleria d’arte di Aecio Sarti. Le persone bevono caffè o succo di maracuja, guardano i quadri e aspettano. È qui che con una sessione di slam poetry è presentato anche il volume Lula livre Lula livro, curato da Ademir Assunçao e Marcelino Freire. Molte delle parole che saranno pronunciate in questa occasione saranno parole di lotta.

Secondo tanti brasiliani il paese ha vissuto un colpo di stato, e tanti si battono per la scarcerazione dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva. Lula è in prigione dalla scorsa primavera, ma ha annunciato di volersi candidare alle presidenziali del prossimo ottobre. La scelta per molti è tra democrazia e fascismo. I sondaggi danno in testa l’ex presidente, ma c’è incertezza sul fatto che possa davvero partecipare alle elezioni.

Il pubblico del festival di letteratura Flip a Paraty, Brasile, luglio 2018. (Zedu Moreau, Flickr)

A Casa Paratodos si respira la tensione che attraversa il Brasile. Il camion che doveva portare al festival le copie di Lula livre Lula livro è stato assalito. I libri sono spariti, mai arrivati a Paraty. I curatori ne hanno solo pochi. Che fare? Gli organizzatori decidono di lanciare direttamente il libro alle persone che sono venute per la presentazione, trasformandola in una lotta politica fatta con il sorriso. Le braccia dei lettori sono tese e quando Marcelino Freire lancia il primo libro è pura euforia. Tutti hanno voglia di leggere i testi di Beatriz Azevedo, Chico Cesar, Xico Sa, Frei Betto, Adriane Garcia, Chico Buarque contenuti nel volume. Ed è proprio Buarque che nel suo testo scrive che “chi odia Lula odia i poveri”. Marcelino Freire gli fa eco dicendo che dagli indios kayowà ai raccoglitori di carta, dalle collaboratrici domestiche ai prigionieri politici, sono le minoranze rumorose a rischiare di più senza Lula. Molti tra il pubblico dicono che non hanno voglia di starsene seduti mentre arriva la catastrofe.

Di questo attivismo sono testimone anche all’incontro nel tendone centrale della Flip insieme al poeta italosvizzero Fabio Pusterla. Abbiamo parlato dell’Italia attraversata da rigurgiti sovranisti e razzisti. Un paese dove è riemerso l’odio per i poveri, i rifugiati, le donne, i gay. A molti brasiliani sembra che si stia parlando del loro paese. In tanti ricordano l’attivista Marielle Franco, consigliera comunale a Rio de Janeiro impegnata nella difesa dei diritti umani e uccisa il 14 marzo 2018. Tutto a un tratto si alzano delle voci dal pubblico: “Marielle presente”. Le grida si fanno sempre più forti, riempiono la tenda.

I libri
Ma Flip non è solo un festival fatto di politica. Per me è anche l’occasione di vedere da vicino la letteratura brasiliana. In Italia sono poche le case editrici che se ne occupano – La Nuova Frontiera è stata tra le prime. Nello sfogliare i libri ci si accorge subito che c’è un’energia che non ha paragoni, soprattutto al femminile.

Vale la pena citare Djamila Ribeiro. Nei suoi libri ha raccolto le lezioni di Angela Davis e Toni Morrison e traccia una storia delle donne brasiliane che è anche una lotta per mettere al centro le afrodiscendenti trascurate e a volte dimenticate dal femminismo occidentale. Dov’è il nostro “lugar de fala” si chiede Djamila, dov’è il posto dove possiamo prendere la parola?

Dove sono i neri? Dove sono i neri nell’arte? Dove nell’università? Nella scuola pubblica? Nella politica?

Una domanda che riecheggia nel romanzo O peso do pássaro morto, dove Aline Bei racconta la vita di una donna dagli otto ai cinquantadue anni, in una sequela di amori sciupati, delusioni, traumi. La forma romanzo a tratti si trasforma in poesia, in parole che si troncano, in un valzer di maiuscole e minuscole. È punteggiatura, è forma, è sostanza.

Al festival ci sono anche Leonardo Tonus, docente di letteratura brasiliana alla Sorbona, dove ogni anno organizza un festival di letteratura brasiliana; Wagner Schwartz, ballerino e performer di fama mondiale, che ha appena pubblicato il suo primo libro; giovani scrittori e vecchi veterani come Paulo Lins e Sheila Smanyoto. E c’è anche Marcia Tiburi, candidata del Partito dei lavoratori (il partito di Lula) alla carica di governatrice di Rio. Marcia ha scritto romanzi e saggi. Passa dalla distopia all’analisi politica. Di lei mi ero messa in valigia Como conversar com um fascista, un testo su come confrontarsi con fascisti e sovranisti.

La festa nelle periferie
Come altre autrici e autori invitati a Paraty sono stata portata a Rio de Jaeiro per la Festa literária das periferias (Flup), che organizza incontri nelle periferie o nelle favelas, per portare la letteratura anche alle persone che ci vivono e non riescono ad andare a Paraty. Intanto perché costa. E poi perché per raggiungerla ci vogliono almeno cinque ore di viaggio, che a tratti sembrano interminabili.

Alla Flup il pubblico è numeroso. La mia identità afroitaliana incuriosisce. Parlo della mancanza di una legge sulla cittadinanza per figli e figlie di migranti, e sono loro ad abbracciarmi e rincuorarmi al grido di “A luta continua”.

La lotta è spesso una lotta culturale. Nel brano Exú nas escolas, la cantante Elsa Soares, 87 anni, si chiede come mai insieme al cattolicesimo e all’ebraismo, a scuola non si studino anche le religioni afrobrasiliane, perché Exú (e quindi l’Africa) è fuori dalla scuola. Sono in tanti a ripeterlo qui: la storia degli afrodiscendenti non viene valorizzata, studiata, diffusa.

Il pubblico del festival di letteratura Flip a Paraty, Brasile, luglio 2018. (Zedu Moreau, Flickr )

È per riempire questo vuoto che è stata organizzata la mostra Histórias afro-atlânticas al Museo de arte di São Paulo. I curatori hanno creato dei percorsi tematici per ricostruire la storia dei paesi toccati dalla tratta atlantica, da quella schiavitù che ancora sgomenta. Quadri e sculture mostrano le tracce della presenza africana nei paesi che si affacciano sull’oceano Atlantico. Il viaggio va da Port-au-Prince a Bahia, da New York a L’Avana, e rimanda di tanto in tanto all’Europa colonizzatrice.

Le opere esposte sono più di quattrocento, tra cui 66 ritratti di afrodiscendenti da togliere il fiato. Ci si trova davanti a dandy di fino ottocento con i capelli crespi e il portamento da lord Byron, moschettieri, pescatori, delegati di ambasciata, schiavi e schiave, divinità, lottatrici, guerrieri. C’è con la sua bella parrucca settecentesca anche Olaudah Equiano, uno dei primi a raccontare in forma scritta la sua esperienza da schiavo.

La mostra permette di vedere opere raramente esposte e in molti lo stanno facendo, se è vero che è la più visitata a São Paulo, quella con più presenza giovanile. “È un successo senza precedenti”, dicono dal museo. Ed è anche l’occasione per chiedersi come mai i neri, così tanti in Brasile, siano ancora messi ai margini. La domanda è stata fatta esplicitamente durante l’inaugurazione, attraverso uno striscione su cui si legge: “Onde estão os negros?”. Dove sono i neri? Dove sono i neri nell’arte? Dove nell’università? Nella scuola pubblica? Nella politica?

In questa mostra trovo anche il ritratto di un italiano: san Benedetto il moro. Qui tutti pensano che sia un santo brasiliano, anzi afrobrasiliano. Sono soddisfatta nel dire all’addetta stampa del museo che “no, Benedetto è nato a San Fratello, in provincia di Messina, da genitori etiopi schiavi, ed è morto a Palermo. Benedetto è italiano”, le dico con orgoglio.

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