24 luglio 2020 09:52

Il gigante di ferro domina la vallata. Il fumo denso esce dalle sue sei torri cilindriche diffondendo nell’aria un odore acre di zolfo. Siamo sul monte Amiata, tra i comuni di Arcidosso e Santa Fiora, nel cuore di una delle due aree della Toscana dove si produce energia geotermica. Bagnore 4, inaugurata nel 2014, è l’ultima di una serie di centrali che estraggono fluido dal sottosuolo per produrre energia. L’impianto, detto a ciclo aperto o “flash”, funziona così: il vapore generato dal fluido prelevato a tremila metri di profondità è convogliato in dei tubi verso lo stabilimento, dove finisce in una turbina collegata a un generatore che converte il calore in energia meccanica. Un alternatore trasforma l’energia meccanica in energia elettrica. Il fumo che esce dalle torri è il residuo gassoso del processo. Bagnore 4 e la gemella Bagnore 3, a poche centinaia di metri di distanza, sono due delle 34 centrali geotermoelettriche della Toscana, tutte controllate dalla Enel Green Power, la società del gruppo Enel che si occupa di fonti rinnovabili.

Quella della geotermia in Toscana è una storia più che centenaria e risale alle ricerche condotte nell’ottocento da Francesco Giacomo Larderel a Montecerboli, in provincia di Pisa. Nel 1818 il giovane ingegnere italo-francese riuscì a valorizzare il fluido geotermico estraendo acido borico dal vapore e producendo boro a scopi industriali. La sua scoperta fu così apprezzata che il granduca Leopoldo II lo ricompensò con il titolo di conte e decise in suo onore di dare all’area il nome di Larderello. Poco meno di cent’anni dopo, nel 1904, il principe Piero Ginori Conti, succeduto a Larderel nella proprietà dell’industria boracifera, riuscì ad accendere cinque lampadine sfruttando il calore del sottosuolo. Da allora la Toscana è diventata il centro della geotermia mondiale, a Larderello e sul monte Amiata, dove la Enel Green Power ha installato nel corso degli anni le sue centrali, per una potenza complessiva di 916 megawatt.

Questa tecnologia, classificata come verde e rinnovabile, è oggi al centro di un duro scontro tra chi la considera una fonte energetica per sostituire i combustibili fossili e chi invece sottolinea i rischi per la salute e il forte impatto ambientale. Le vallate ai lati del monte Amiata sono piene di centrali: oltre a Bagnore 3 e 4, i tre impianti di Piancastagnaio 3, 4 e 5 contornano le pendici di questo massiccio vulcanico. “Hanno rovinato un territorio e hanno svenduto le nostre vite”, dice Velio Arezzini, portavoce della rete nazionale No alla geotermia speculativa e inquinante (Nogesi), che da decenni si batte contro questo tipo di impianti. “Potevamo puntare sul turismo, sulle bellezze del territorio, su un’agricoltura di qualità. Invece è stata scelta la geo-termia industriale, che rovina il paesaggio e crea problemi enormi”.

Con vari ricorsi la Nogesi ha provato invano a bloccare la costruzione delle ultime centrali, in particolare Bagnore 4, sottolineando che non producono affatto energia pulita e che sono dannose per la salute. “Secondo uno studio condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) nel 2010, i tassi di mortalità maschile sono più alti del 13 per cento sull’Amiata rispetto ad altre zone della Toscana”, sottolinea Arezzini. “Questo è dovuto alla maggiore quantità di gas inquinanti liberati nell’atmosfera dalle centrali geotermiche. Lo denunciamo da tempo, ma nessuno ci ascolta perché qui gli interessi sono enormi”.

Il villaggio di Asterix
Enel contesta questi dati e sostiene che non sono aggiornati e che secondo studi condotti da altri enti non esiste correlazione tra attività geotermica e salute dei cittadini. Negli ultimi anni, l’azienda ha installato nei propri impianti i cosiddetti filtri Amis, Abbattimento mercurio e idrogeno solforato, che riducono notevolmente le emissioni di queste sostanze. Attraverso l’immissione di acido solforico negli Amis, nei due impianti di Bagnore viene ridotto anche il contenuto di ammoniaca diffusa nell’atmosfera. “Queste centrali sono migliori, ma chiamarle verdi è un’assurdità, perché continuano a rilasciare sostanze nocive. E soprattutto perché liberano enormi quantità di gas che contribuiscono al cambiamento climatico, sui quali i filtri non hanno alcun effetto”, spiega Carlo Balducci, ingegnere della rete Nogesi. Su questo punto, Enel ribatte che l’anidride carbonica non deriva da processi di combustione ma è naturalmente presente nel sottosuolo e sarebbe comunque emessa in atmosfera. Un’affermazione che diversi esperti contestano, sottolineando che l’emissione di gas indotta dall’attività geotermica in modo naturale richiederebbe migliaia di anni.

Per risolvere il problema delle emissioni dannose per il clima, sono stati progettati nuovi impianti e previsti nuovi incentivi

Nel 2013, in un articolo basato su dati dell’Agenzia regionale per l’ambiente e il territorio della Toscana (Arpat), i due studiosi Riccardo Basosi e Mirko Bravi sottolineavano questo controsenso: l’energia geotermica, considerata pulita, contribuisce in modo rilevante all’effetto serra.

“A oggi gli impianti toscani rilasciano nell’atmosfera quasi tre milioni di tonnellate di anidride carbonica e 43mila tonnellate di metano ogni anno. Hanno un potenziale di riscaldamento globale (Gwp) che le rende paragonabili alle centrali a metano o a olio combustibile. Di fatto stiamo sovvenzionando con fondi pubblici l’emissione di gas serra”, sottolinea Balducci. Le centrali geotermoelettriche beneficiano di finanziamenti sostanziosi, che le rendono estremamente redditizie. Per ogni megawattora prodotto, la centrale di Bagnore 4 riceve un incentivo di 99 euro. Se si considera che produce annualmente 300 gigawattora si arriva a un ricavo annuale di 29,7 milioni di euro e a un ricavo di 742,5 milioni di euro sui 25 anni previsti di incentivazione. “Sono cifre importanti, che noi cittadini paghiamo in bolletta alla voce oneri di sistema”, spiega Balducci. Che conclude con una domanda: “È giusto sovvenzionare con i soldi pubblici una tecnologia che aumenta l’effetto serra?”.

Per risolvere il problema delle emissioni dannose per il clima, sono stati progettati nuovi impianti e previsti nuovi incentivi, e sulla scena si sono affacciati nuovi attori. A pochi chilometri da Piancastagnaio, sede fin dagli anni sessanta delle prime centrali sul monte Amiata, il paese di Abbadia San Salvatore si è sempre distinto per il suo convinto no alla geotermia. Mentre i comuni vicini accettavano le offerte dell’Enel e incassavano i fondi di compensazione, questo paese di seimila abitanti è rimasto saldamente ancorato al suo rifiuto, come una specie di villaggio di Asterix accerchiato dalle truppe romane.

Il sindaco Fabrizio Tondi, capofila della resistenza, oggi è uno dei più strenui sostenitori di un altro tipo di centrale, che dovrebbe nascere nell’area industriale della Val di Paglia, a pochi chilometri dal centro abitato. Si tratta di un impianto a ciclo chiuso o binario, in cui tutto il fluido estratto viene reimmesso nel sottosuolo, senza alcuna emissione nell’atmosfera. Esistono esempi del genere negli Stati Uniti, in Germania e in Francia, ma non in Italia, dove tutte le centrali geotermoelettriche sono a ciclo aperto, cioè liberano i residui gassosi nell’atmosfera. L’Enel ha costruito stabilimenti simili altrove, ma ha sempre escluso questa eventualità sull’Amiata, sostenendo che la quantità di gas incondensabili presenti in quel serbatoio geotermico rende impossibile la reimmissione totale del fluido.

Santa Fiora, Grosseto, 10 luglio 2020. Termodotto nei pressi di Bagnore. (Rocco Rorandelli per Internazionale, TerraProject)

A partire dal 2011 il governo ha concesso la possibilità di esplorare questa tecnologia, prevedendo la costruzione di alcune piccole centrali di questo tipo, con un meccanismo di incentivazione di 200 euro per ogni megawatt/ora prodotto. La prospettiva di aggiudicarsi questi incentivi ha spinto molte aziende a lanciarsi nell’avventura. Tra questi il gruppo Sorgenia, che qui ad Abbadia progetta di costruire una centrale da 10 megawatt. “Dopo studi approfonditi, abbiamo scelto quest’area perché ha caratteristiche capaci di garantire che l’impianto sarà a zero emissioni”, dice Matteo Ceroti, responsabile dello sviluppo della società. “Oltre a produrre energia, la centrale fornirà gratuitamente calore alla comunità locale per progetti di sviluppo socioeconomico. È una grande opportunità per il territorio ma anche per l’Italia, dove non esiste ancora un impianto a ciclo binario”.

Il sindaco racconta che a convincerlo è stata proprio la prospettiva di una centrale diversa da tutte le altre. “Bisogna uscire dalla logica geotermia sì geotermia no e ragionare invece sul tipo di geotermia che vogliamo sviluppare”, dice Tondi nel suo ufficio, nel municipio deserto a causa delle misure contro il covid-19. “Questi impianti di nuova generazione non provocano danni per l’ambiente e possono generare ricchezza”. Todi, ex chirurgo, confermato nel 2019 per un secondo mandato, coltiva un sogno: usare la geotermia a zero emissioni per curare l’area da quella che considera la sua principale malattia, la marginalità in cui è piombata negli ultimi decenni. “La mia idea è fare di Abbadia un centro dell’economia verde e circolare, in cui la centrale geotermica e la possibilità di garantire calore a costo zero attragga nuove attività economiche”. Il sindaco parla di molti posti di lavoro che verranno creati, di aziende che dicono di essere interessate. Ma alcuni suoi concittadini guardano al suo piano con sospetto. “È l’ennesima colonizzazione di un territorio già pesantemente compromesso dall’attività delle centrali a ciclo aperto dell’Enel. Continuiamo a chiamare grandi gruppi che sfruttano le nostre risorse, senza ottenere alcun beneficio”, afferma Arezzini della rete Nogesi. Tondi accusa chi lo critica di essere legato a un’idea romantica e immutabile di territorio e di non preoccuparsi della vita reale delle persone. “Mentre loro dicono no a tutto, i giovani se ne vanno e i paesi si spopolano”, ribatte il sindaco, assicurando che andrà avanti “perché per governare bene bisogna pensare al futuro senza farsi influenzare dalle reazioni istintive di alcuni”.

La rivolta della Tuscia
A un sindaco che sposa la causa della geotermia a zero emissioni ne corrispondono poco più a sud una trentina che sono invece schierati contro questo tipo di impianti. Nell’Alta Tuscia, nella fascia di terra che dal nord del Lazio sconfina in Umbria, sono in una fase più o meno avanzata una serie di centrali a ciclo binario. I titoli minerari concessi sono 18, su un territorio che si estende per circa mille chilometri quadrati intorno al lago di Bolsena.

A differenza dell’Amiata, dove lo sfruttamento del serbatoio geotermico ha una lunga e consolidata tradizione, questa zona ha un unico precedente, non proprio felice. Quando alla fine degli anni novanta l’Enel ha costruito una centrale nei pressi del borgo di Latera, ha dovuto chiuderla dopo pochi mesi a causa di un eccesso di emissioni nocive. Francesco Di Biagi, sindaco della cittadina, all’epoca era un ragazzo e ricorda bene cos’è successo. “I responsabili della centrale hanno liberato i gas nell’atmosfera e la nube tossica è arrivata fino a Montefiascone, a trenta chilometri di distanza. Molte persone sono dovute andare in ospedale. Il bestiame è morto, le piantagioni sono state distrutte”. Oggi lo stabilimento giace come una cattedrale abbandonata in mezzo alla campagna. Di Biagi è in prima linea nel fronte del no a ogni nuovo progetto geotermico, tra cui una centrale a zero emissioni proprio a Latera.

La centrale abbandonata di Latera, Viterbo, 10 luglio 2020. (Rocco Rorandelli per Internazionale, TerraProject)

“Il passato ci ha dimostrato che questo tipo di produzione energetica è dannoso. E diversi studi indicano che il nostro territorio è particolarmente vulnerabile. Per questo cercheremo di opporci con tutti i mezzi che abbiamo”, dice il sindaco con tono battagliero.

Gli studi a cui fa riferimento Di Biagi sono quelli del vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), nemico giurato di ogni progetto geotermico. In seguito ai rilievi che ha presentato come semplice cittadino, due progetti di centrali pilota in Campania, a Pozzuoli e a Ischia, sono stati ritirati. Mastrolorenzo sostiene che i piani per costruire impianti binari tra il Monte Amiata e la Tuscia sono pericolosi. Tratteggiando su un foglio di carta la struttura geologica dell’area che va da Siena al lago di Bolsena, evidenzia i rischi di un’attività antropica a quelle profondità. “Questi impianti prevedono una reimmissione del fluido a circa un chilometro di distanza dai pozzi di estrazione. Presuppongono una continuità del serbatoio sotterraneo che non è dimostrata. Anzi, è dimostrato proprio il contrario”. Secondo il vulcanologo, ogni piccola variazione nell’assetto tettonico può causare shock devastanti. “Stiamo parlando di un’area a forte sismicità, in cui un eventuale scompenso causato da interferenza umana potrebbe innescare un terremoto fino al sesto grado della scala Richter”.

Forti dei rilievi di Mastrolorenzo, i sindaci dell’area hanno scritto collettivamente al presidente del consiglio Giuseppe Conte e a vari ministri, oltre che al capo della protezione civile Angelo Borrelli e ai presidenti delle regioni Lazio e Umbria, chiedendo di applicare il principio di precauzione e di sospendere i progetti.

Io sono la geotermia
“Quei sindaci sono solo somari con la fascia. Non capiscono nulla di geotermia e vogliono bloccare l’innovazione con una protesta in puro stile nimby (not in my backyard, non nel mio cortile)”. A parlare così è Diego Righini, manager della Itw-Lkw Geotermia Italia, l’azienda titolare di quello che ha buone probabilità di diventare il primo impianto a ciclo binario d’Italia: se infatti il progetto di Abbadia San Salvatore è ancora nella fase della Valutazione d’impatto ambientale (Via), quello della Itw-Lkw è già stato approvato. Sorgerà a Castel Giorgio, in provincia di Terni, in un’area industriale dove già decenni fa l’Enel ha fatto delle prospezioni. I comuni hanno presentato un ricorso al Tar per bloccare la costruzione, ma Righini è convinto di vincerlo e di poter cominciare i lavori già in autunno.

La centrale è da anni al centro di polemiche, controversie legali e accuse di conflitti di interessi. I comitati contro l’impianto definiscono la Itw-Lkw una società di comodo, nata solo per ottenere i ricchi incentivi destinati agli impianti pilota. “È stata fondata nel paradiso fiscale del Liechtenstein e non ha alcuna esperienza in geotermia: di fatto non ha mai montato neanche un rubinetto”, dice Fausto Carotenuto, titolare di un centro yoga di fronte all’area dove dovrebbe sorgere la centrale e principale animatore della protesta.

Serre abbandonate che sarebbero dovute essere alimentate dalla centrale di Latera, Viterbo, 10 luglio 2020. (Rocco Rorandelli per Internazionale, TerraProject)

La storia dell’iter per avere l’autorizzazione desta molte perplessità: la commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie (Cirm) del ministero dello sviluppo economico, incaricata di valutare la fattibilità dell’impianto, ha chiamato come esperto il geologo ed ex ministro Franco Barberi, che è anche firmatario del progetto. La valutazione d’impatto ambientale ha avuto invece il via libera da una commissione nazionale al ministero per l’ambiente presieduta dall’ingegner Guido Monteforte Specchi, che era anche consulente privato della Itw-Lkw. “È grazie a queste entrature che il piano ha potuto superare ogni ostacolo, malgrado le evidenti carenze”, sottolinea Carotenuto.

Nel suo ufficio di Roma, a due passi da piazza di Spagna, Righini respinge le critiche all’azienda: “È una società di scopo, nata per sviluppare impianti geotermici in Italia”. Il manager difende Barberi: “Ha lasciato la stanza e non ha partecipato al voto”. Inoltre sostiene che dietro la protesta dei sindaci e dei comitati ci sarebbe la longa manus dell’Enel. “L’ex monopolista si oppone alle nuove centrali perché mostrerebbero che la sua tecnologia è inquinante e obsoleta”.

Righini ripete, con toni volutamente magniloquenti, “la geotermia sono io”, e illustra la sua visione di futuro: la centrale di Castel Giorgio e l’impianto pilota gemello progettato dalla sua azienda ad Acquapendente, in provincia di Viterbo, dovranno fare da apripista per stabilimenti più grandi, che a medio termine dovrebbero aiutare l’Italia a decarbonizzarsi e a uscire dalla dipendenza energetica. “È un’assurdità che il nostro paese, che ha inventato la geotermia, oggi sia così indietro rispetto ad altri. Abbiamo la possibilità di installare 7.548 megawatt di potenza geotermica sul territorio nazionale. Possiamo ridurre le emissioni e attuare una vera transizione verso l’energia pulita. Dobbiamo solo superare l’opposizione nimby di sindaci e comitati e la rendita di posizione dell’Enel”. Ma i dubbi restano: non è un caso che gli incentivi previsti dal decreto del 2016 non sono stati confermati nel decreto sulle energie rinnovabili (Fer1) del 2019 e la gran parte dei progetti è in attesa di un prossimo decreto Fer2, che dovrebbe includere di nuovo la geotermia, ma che è stato rimandato più volte. I rilievi sulla possibilità di un innesco sismico fatti da Mastrolorenzo non sono grida isolate: in Francia, in seguito a una serie di scosse in Alsazia in prossimità di un impianto geotermico, il governo ha sospeso gli incentivi a questa tecnologia.

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I finanziamenti sono il nodo cruciale di tutta la vicenda: senza i fondi previsti, 200 euro a megawatt/ora, le nuove centrali non sono sostenibili. “Se dovessero vendere l’energia a prezzo di mercato non starebbero in piedi. Invece così si ripagano in sette-otto anni l’investimento iniziale per la costruzione della centrale e poi cominciano a incassare dividendi milionari.

“È giusto pagare tre o quattro volte il costo dell’energia per impianti così rischiosi?”, si chiede Georg Wallner, ex professore di fisica, impegnato nell’associazione Bolsena lago d’Europa (Bleu). Wallner, che ha studiato i vari impianti in giro per l’Europa, sottolinea che all’estero le centrali sorgono in zone non sismiche e producono principalmente calore e non energia. “Le centrali in Francia e Germania hanno senso perché distribuiscono teleriscaldamento ai vicini centri abitati. L’energia è quasi un prodotto secondario. I progetti italiani mirano invece a produrre energia a costi e rischi altissimi e considerano il calore un prodotto quasi di scarto, tanto che prevedono di regalarlo alle comunità circostanti”, sottolinea Wallner.

Anche Andrea Borgia, che è stato ricercatore in geologia all’università di Berkeley, in California, ha più di una perplessità sui nuovi impianti binari tanto lodati da Righini. “Queste centrali pilota sono state autorizzate in modo un po’ frettoloso, senza dati seri sulla sismicità e senza un’analisi accurata della composizione del serbatoio geotermico”. Il geologo sa di cosa parla: in quanto esperto di geotermia è stato chiamato a far parte della commissione valutazione impatto ambientale al ministero per l’ambiente. Durante l’istruttoria su Castel Giorgio ha fatto una serie di osservazioni, che non sono state prese in considerazione. “In assenza di uno studio di micro-sismicità, che non era stato presentato, il pericolo di un innesco sismico è reale. Veramente vogliamo rischiare un terremoto devastante per 5 megawatt?”.

Modello energetico
Borgia propone una soluzione alternativa, basata su una nuova tecnologia che estrae dal sottosuolo calore invece di fluido e che non richiede quindi reimmissioni. “Si tratta dei cosiddetti impianti Dbhe (Deep borehole heat exchanger, scambiatori di calore in pozzi profondi), che sono stati già sperimentati negli Stati Uniti e in Canada e che entro un paio d’anni saranno sicuramente una tecnologia matura”. Il sistema è formato da tubi inseriti all’interno del giacimento geotermico, nei quali circola a ciclo chiuso un fluido vettore che, riscaldato, torna in superficie ad alimentare le turbine per l’erogazione di elettricità. È simile a un termosifone, che estrae solo calore dalle rocce e dai fluidi che lo lambiscono. Questo tipo di impianti permette di evitare i problemi causati dalle centrali binarie, come l’innesco sismico o l’emissione dei gas incondensabili, ma ha un’efficienza minore perché lo scambio di calore avviene nel sottosuolo e quindi su una superficie ridotta. “In compenso può essere installato ovunque, non solo dove c’è un fluido geotermico sotterraneo”, assicura il professore.

Borgia è convinto che le centrali binarie non si faranno perché i rischi sono eccessivi, e auspica che siano gli impianti Dbhe a prevalere se si deciderà d’investire sulla geotermia. “Ma quello che manca è un piano complessivo. Bisogna capire come si vuole produrre energia nell’Italia del futuro. In particolare quali fonti rinnovabili preferire”.

Il tema fondamentale è proprio quello del modello energetico e delle sue conseguenze: in un periodo storico in cui è vitale ridurre le emissioni di gas che contribuiscono al riscaldamento globale, le centrali a ciclo aperto toscane sono un evidente anacronismo. Sulle centrali binarie, che da questo punto di vista sono più innovative, il dibattito resta aperto. Ma tra rischi di innesco sismico, proteste delle comunità e dei rappresentanti locali, è lecito chiedersi se sia ragionevole incentivare con sostanziosi fondi pubblici una produzione di energia così controversa e poco efficiente. “Bisogna capire se il gioco vale la candela”, dice Borgia. O se viceversa è meglio tenere spenta la candela e produrre energia in altri modi.

Questo articolo è uscito sul numero 1368 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati. Il video di apertura mostra le centrali geotermiche Bagnore 4 e 3 a Santa Fiora, Grosseto. È stato realizzato per Internazionale da Rocco Rorandelli (TerraProject) il 10 luglio 2020.

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