Rouba Assi, una prigioniera palestinese liberata da Israele, Ramallah, Cisgiordania. (Kenzo Tribouillard, Afp)

Hamas ha affermato il 29 novembre di essere disponibile a prorogare di quattro giorni la tregua nella Striscia di Gaza, proseguendo gli scambi di ostaggi e prigionieri, mentre i mediatori internazionali moltiplicano gli sforzi per evitare una ripresa dei combattimenti.

Un nuovo scambio di ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre e detenuti palestinesi in Israele è previsto il 29 novembre, nel sesto giorno di tregua.

La pausa nelle ostilità ha anche favorito l’invio nella Striscia di Gaza, devastata da sette settimane di bombardamenti israeliani, di grandi quantità di aiuti umanitari.

La tregua, prorogata una prima volta il 27 novembre, scade la mattina del 30 novembre.

“Hamas è favorevole a prorogare la tregua di quattro giorni alle condizioni attuali”, ha dichiarato all’Afp una fonte vicina al gruppo palestinese.

A partire dal 24 novembre Hamas ha rilasciato ogni giorno una decina di ostaggi tra donne e bambini, in cambio della liberazione di un numero tre volte superiore di prigionieri palestinesi.

L’accordo, raggiunto grazie alla mediazione del Qatar e con il sostegno degli Stati Uniti e dell’Egitto, ha già portato al rilascio di sessanta ostaggi e 180 prigionieri.

Altri ventuno ostaggi stranieri, in maggioranza tailandesi che lavorano in Israele, sono stati rilasciati al di fuori dell’accordo. Hamas ha annunciato che il 29 novembre saranno liberati alcuni ostaggi russi.

L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato di aver ricevuto una lista di ostaggi che saranno rilasciati il 29 novembre.

“Pronto a riprendere l’offensiva”

Secondo le autorità israeliane, Hamas ha rapito circa 240 persone durante il suo attacco senza precedenti in territorio israeliano del 7 ottobre. La maggior parte è in mano ad Hamas, ma una minoranza è in mano ad altri gruppi armati palestinesi.

Secondo le autorità di Hamas, l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza ha causato finora la morte di 14.854 persone, tra cui almeno 6.150 bambini. L’attacco di Hamas del 7 ottobre ha invece causato circa 1.200 vittime in Israele.

“L’esercito israeliano è pronto a riprendere l’offensiva”, ha affermato Herzi Halevi, il capo di stato maggiore israeliano.

Dietro le quinte, i mediatori internazionali stanno moltiplicando gli sforzi per estendere la tregua. Il segretario di stato statunitense Antony Blinken tornerà in Israele il 29 novembre.

“Il nostro obiettivo è ottenere una tregua duratura, che permetta l’avvio di negoziati di pace”, ha dichiarato Majed al Ansari, portavoce del ministero degli esteri del Qatar.

Secondo una fonte vicina ai negoziati, i capi dei servizi segreti statunitensi e israeliani hanno raggiunto Doha il 28 novembre per discutere di una proroga della tregua.

Nonostante l’arrivo nella Striscia di Gaza di centinaia di camion con gli aiuti umanitari, la situazione rimane “catastrofica”, secondo il Programma alimentare mondiale (Pam) delle Nazioni Unite.

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha segnalato una maggiore diffusione di alcune malattie contagiose. I casi di diarrea nei bambini piccoli sono quarantacinque volte superiori alla norma, mentre la maggior parte degli ospedali della Striscia di Gaza è chiusa.

“Finalmente i camion entrano nella Striscia di Gaza a un buon ritmo, circa 240 al giorno”, ha dichiarato un funzionario della Casa Bianca. “Questo ritmo dovrà essere mantenuto anche dopo la fine della tregua”.

In fila con le taniche

Secondo le Nazioni Unite, dall’inizio del conflitto 1,7 milioni di abitanti della Striscia di Gaza su un totale di 2,4 milioni sono stati costretti a lasciare le loro case. La maggior parte è fuggita verso sud dalla parte nord del territorio, dove infuriano i combattimenti. Più di metà delle case della Striscia di Gaza sono state distrutte o danneggiate.

L’esercito israeliano ha vietato ai palestinesi di tornare nelle loro case nel nord della Striscia di Gaza durante la tregua. Nonostante questo, migliaia di sfollati sono partiti verso nord.

Nella città di Gaza il 29 novembre alcuni abitanti erano in fila con le taniche vicino a un serbatoio di acqua potabile.

“La gente viene qui a piedi, anche da molto lontano, perfino trenta chilometri di distanza, per rifornirsi di acqua potabile”, ha raccontato all’Afp Mohammed Matar, proprietario di un impianto di desalinizzazione dell’acqua.

“Non avendo carburante non possiamo distribuirla noi”, ha aggiunto.