Ilaria Salis in tribunale a Budapest, il 24 maggio 2024. (Marton Monus, Reuters/Contrasto)

L’attivista italiana d’estrema sinistra Ilaria Salis, sotto processo in Ungheria con l’accusa di aver attaccato dei neonazisti, sarà presto libera grazie all’immunità ottenuta in quanto deputata europea, ha affermato il 10 giugno il suo avvocato Eugenio Losco.

Salis, 39 anni, che a maggio aveva ottenuto gli arresti domiciliari a Budapest dopo aver trascorso più di un anno in prigione, ha ricevuto più di 160mila voti in Italia alle elezioni europee.

Salis, un’insegnante di Monza, era stata candidata da un piccolo partito, Alleanza verdi e sinistra (Avs), che ha ottenuto il 6,8 per cento dei voti, secondo i risultati quasi definitivi.

Grazie alla sua elezione al parlamento europeo Salis ha diritto all’immunità e la richiesta potrebbe essere presentata prima del 16 luglio, ha dichiarato il suo avvocato al quotidiano Il Messaggero.

“Presenteremo la richiesta a Budapest non appena Salis sarà proclamata deputata europea”, ha precisato Losco.

“La legislazione europea prevede l’esenzione da qualsiasi forma di detenzione e la sospensione dei procedimenti penali per gli eurodeputati”, ha aggiunto.

“Ilaria è diventata suo malgrado simbolo di un’Europa che non vogliamo, quella del premier ungherese Viktor Orbán che calpesta la democrazia, ma anche di un’Europa possibile, dove i diritti di tutti sono garantiti”, ha dichiarato all’Agi Nicola Fratoianni, uno dei due leader di Avs.

Salis ha trascorso più di un anno in detenzione in condizioni molto dure dopo essere stata accusata di “aggressione che ha messo in pericolo la vita di altre persone” e di “appartenenza a un’organizzazione criminale”.

La procura ha chiesto una condanna a undici anni di prigione, con il chiaro sostegno del governo, che sostiene di voler “difendere gli ungheresi dalle violenze dell’estrema sinistra europea”.

All’inizio dell’anno le immagini dell’attivista condotta in tribunale in catene avevano suscitato un’ondata d’indignazione in Italia.

Il caso Salis ha riacceso il dibattito sull’indipendenza della magistratura in Ungheria, che secondo Bruxelles non è più garantita da quando Orbán è tornato al potere nel 2010.