05 luglio 2018 14:12

Non c’è mai stata nostalgia né inutile retorica nella reunion degli Slowdive. La band britannica, nome storico della scena shoegaze degli anni novanta, con il suo rock psichedelico ha spianato la strada a gruppi più famosi come Blur, Suede e Oasis. E da un paio d’anni è tornata sulle scene con un obiettivo ben preciso: fare un disco. Già dai primi concerti del nuovo corso, cominciati nel 2014 con l’esibizione al Primavera sound di Barcellona, il quartetto guidato da Neil Halstead e Rachel Goswell aveva in mente di registrare delle nuove canzoni.

Forse è proprio per questo che l’album Slowdive, uscito nel maggio 2017 e considerato da molti uno dei migliori di quell’anno, è un disco intenso e vitale come quello di un gruppo esordiente. Del resto il suono della band non è per niente datato, anzi. In questi anni gli Slowdive hanno contaminato la scena indie mondiale, influenzando anche gruppi statunitensi come i Beach House e i Grizzly Bear, e dimostrando una cosa che tanti appassionati di musica sostengono da tempo: sono una della band più sottovalutate degli ultimi decenni.

Gli Slowdive hanno suonato per la prima volta in Italia nel 2014, in occasione del Radar Festival di Padova. Tra pochi giorni però la band tornerà nel nostro paese: il 27 luglio sarà ospite del Siren Festival di Vasto, in provincia di Chieti, una manifestazione nata quattro anni fa e diventata una delle più interessanti nel panorama italiano. Anche quest’anno al Siren, che comincerà il 26 luglio, il programma sarà ricco: oltre agli Slowdive suoneranno Public Image Ltd (Pil), Cosmo, Mouse On Mars, 2ManyDjs e altri.

Ho raggiunto al telefono Neil Halstead, chitarrista, voce e principale compositore degli Slowdive, per farmi raccontare com’è nata la reunion della band.

Cosa vi ha spinto a tornare insieme?
Il nostro primo obiettivo era fare un disco. Non volevamo mettere in piedi la solita rimpatriata nostalgica, avevamo bisogno di seguire un impulso creativo. Non ho niente contro le reunion, in realtà. È bello per un fan poter sentire un gruppo con cui è cresciuto, o che magari non ha mai avuto l’occasione di vedere prima. Mi è piaciuta molto la reunion dei Pixies, o quella dei My Bloody Valentine. E sarebbe bellissimo veder tornare insieme gli Smiths, anche se al momento purtroppo sembra impossibile. Ma non bisogna neanche dare troppo spazio alle reunion nei programmi dei festival, perché si rischia di togliere occasioni ai musicisti emergenti.

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È passato un anno dall’uscita di Slowdive. Che impressione vi fa oggi questo disco?
Ha uno spirito molto vicino ai nostri primi lavori, in particolare a Souvlaki, l’album del 1993. La sua lavorazione è stata molto diversa rispetto a quella dei lavori del passato, perché oggi la tecnologia permette di lavorare sui brani anche a distanza, ma quando ci siamo ritrovati in studio la chimica era la stessa di sempre. Queste canzoni le suoniamo da un anno e mezzo e ormai sono diventate parte della band. Ma, se devo essere sincero, non ascolto il disco da quando è uscito, quindi non saprei dirti che impressione mi fa!

Stavolta avete lavorato con Chris Coady, già produttore dei Beach House, affidandogli il mixaggio del disco****. Pensi che ci sia un legame tra voi e una certa scena indie contemporanea?
Non so se abbiamo influenzato i Beach House, ma ci piace molto il loro stile ed è per questo che abbiamo scelto Chris. Penso che in realtà loro, come i Grizzly Bear, i Tame Impala o altri gruppi che spesso vengono accostati al nostro suono, siano influenzati dalla stessa musica che ascoltavamo noi da giovani: i Pink Floyd, o il garage anni settanta e ottanta.

Ho visto il vostro concerto al Primavera sound di quest’anno e ho notato una cosa: tra il pubblico c’erano diverse persone sui vent’anni. Ci avete fatto caso?
È vero, e questo ci ha sorpreso molto. Quando abbiamo fatto i primi concerti dopo la reunion ci aspettavamo che venissero a sentirci solo dei vecchietti come noi e invece abbiamo visto molti giovani in mezzo al pubblico. A volte ho incontrato ragazzi di 16 anni che venivano ai concerti con la mamma, che era nostra fan negli anni novanta. Unire le generazioni ti dà una sensazione splendida.

Farete un quinto disco?
Quest’estate siamo pieni d’impegni, gireremo molti festival fino a settembre e poi faremo qualche altra data. Poi ognuno tornerà a pensare ai suoi progetti personali, perché questa reunion ci ha preso più tempo di quello che pensavamo all’inizio. Ma sono convinto che l’ultimo disco degli Slowdive non sia ancora uscito, penso che nei prossimi anni ci ritroveremo per registrare di nuovo qualcosa insieme.

Hai qualche progetto in vista oltre a quelli con gli Slowdive?
Sto finendo un disco con i Black Hearted Brother, un mio progetto parallelo di qualche anno fa. Questo sarà più elettronico rispetto al lavoro precedente. E poi penso che farò un altro album solista, ma ancora non so di preciso quando.

Cosa ti aspetti dal Siren Festival?
Ci sono stato nel 2015, quando suonavo insieme al cantautore statunitense Sun Kill Moon, e mi sono innamorato del posto e dell’atmosfera che si respira. Suonavamo in uno splendido cortile vicino al mare. Torno molto volentieri.

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