02 agosto 2017 16:42

Gentile bibliopatologo,
da qualche anno sento un bisogno impellente di comprare libri, specie quando mi trovo in un momento difficile. Ora ho tanti libri da leggere e poco tempo per farlo. Come posso interrompere gli acquisti, almeno temporaneamente?
–Aurora

Cara Aurora,
fino a non molto tempo fa sono stato, nella geopolitica portatile della mia famiglia, il parente non industrializzato. Eravamo alla fine degli anni novanta – gli anni di Drop the debt, del movimento Jubilee 2000, dei filantropi canori Bono Vox e Jovanotti ricevuti a corte da Massimo D’Alema. Io avevo una spesa fuori controllo, un bilancio dissestato e vivevo nell’incubo costante del default. Tutto questo perché compravo libri ben al di sopra dei miei mezzi, facendo crescere a dismisura il debito con la mia sorella industrializzata. Lei, con liberalità non so più se sovrana o giubilare, ciclicamente cancellava il debito. Ma come tra le nazioni, così tra i fratelli: invece di approfittarne per risanare le finanze e dedicarmi ai settori vitali – cibo, salute, un’igiene domestica da primo mondo – tornavo come il più prevedibile dei governi corrotti a sperperare tutto, se non in armi, in libri. E alla fine dell’anno fiscale ero di nuovo al punto di partenza: accumulatore seriale di libri, fratello a rischio di default fino al successivo azzeramento del debito.

Poi un giorno mia sorella dovette capire il meccanismo, perché si presentò al tavolo dei negoziati – un tavolo con pane e coperto, era una pizzeria a metà strada tra le rispettive residenze – prestandomi un libro che non avrei mai pensato di leggere e che, a dirla tutta, non ho ancora letto: I love shopping di Sophie Kinsella. Fin dalle prime pagine – erano estratti conto di carte di credito, lettere via via più minacciose delle banche alla protagonista che sfondava regolarmente il tetto di spesa – capii che la favola parlava di me. O meglio, non lo capii allora, lo avrei capito più tardi. Perché ero ancora intrappolato nella superstizione che sta a fondamento di tutte le bibliopatologie: l’idea che i vizi capitali (l’avidità, in questo caso) si capovolgano in virtù da ostentare quando sono parallelepipedi di carta il loro oggetto.

Tu quanto meno sei libera da questa tenace Ur-superstizione, e se un parente esasperato ti prestasse il romanzo di Kinsella capiresti subito l’antifona. Ti consiglio perciò un altro libro, un piccolo divertimento erudito scritto da Charles Asselineau nel 1860 e intitolato L’Inferno del bibliofilo. Il protagonista è trascinato da un demone elegante – redingote e cappello inclinato sul naso – in un comico descensus averni nel Lungosenna, tra il girone delle bancarelle e quello delle aste di libri. “Compra e non pensarci”, gli sussurra affabilmente il demone ogni volta che lo vede tentennare; e così, un acquisto compulsivo dopo l’altro, il bibliofilo si ritrova carico come una bestia da soma di libri che non ha nessuna intenzione di leggere, e indebitato per più di trentamila franchi. L’unico modo che ha per metterli insieme è vendere la sua amata biblioteca, il più innominabile degli incubi.

Ecco, così come Ignazio di Loyola suggeriva negli Esercizi spirituali di contemplare con la vista dell’immaginazione la lunghezza, la larghezza e la profondità dell’inferno, io ti esorto a figurarti l’inferno del bibliofilo ogni volta che stai per portare una pila di libri alla cassa o quando sei lì lì per premere il fatale tasto “conferma l’acquisto”. E ricorda sempre che, per brutto che sia l’inferno, la punizione più orribile da immaginare è proprio l’astinenza dalla lettura. Che ci fanno lì tutti quei libri, se il momento di goderne si allontana come un miraggio? In mancanza di un mantra adatto, recita ogni giorno un epigramma di Ausonio:

Perché la tua biblioteca è piena di libri che hai comprato,
Tu, Filomuso, ti credi un dotto e un grammatico;
con lo stesso sistema compra corde e plettri e cetre:
comprato tutto, domani sarai citaredo.

Finisce qui la mia parte di predicatore e di pedante. Se però sei molto ricca, o hai parenti magnanimi come i miei, ignora tutto ciò che ho scritto e fatti possedere allegramente da quel demone azzimato e invincibile il cui misterioso nome giapponese fa tremare perfino gli esorcisti: tsundoku.

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