07 febbraio 2018 15:00

Gentile bibliopatologo,
ho cominciato a leggere con curiosità verso i nove anni, quando scoprii il libro La casa sull’albero di Bianca Pitzorno. Da allora la lettura è stata tante cose per me: in periodi bui soprattutto un rifugio. Nel tempo ho capito di cercare nei libri alcune risposte su chi sono, quali sono i miei valori e sulla persona che voglio diventare, perché ancora non lo so. Ora mi chiedo e le chiedo: è normale cercare certe risposte nei libri? A volte temo che il mio sia un tentativo di allontanare la realtà, per paura di viverla fino in fondo.
–Caterina

Cara Caterina,
non ho letto La casa sull’albero, ma immagino abbia a che fare con una casa su un albero. Questo mi dà l’occasione per riformulare la tua domanda: è normale cercare certe risposte in cima agli alberi? A questo punto tu penserai che sono come il rabbino della famosa barzelletta, quello che alla domanda “Perché voi ebrei rispondete sempre a una domanda con un’altra domanda?” risponde: “E perché no?”.

Ma non me la caverò con così poco. Partirò invece da un’altra storiella ebraica, non meno famosa della prima ma ambientata in uno scenario urbano che mi è più familiare (le case sugli alberi le ho conosciute solo nel Barone rampante e nel giardino dei Simpson). A raccontarla è Paul Watzlawick nel volumetto Istruzioni per rendersi infelici:

Sotto un lampione c’è un ubriaco che sta cercando qualcosa. Si avvicina un poliziotto e gli chiede che cosa ha perduto. ‘La mia chiave’, risponde l’uomo, e si mettono a cercare tutti e due. Dopo aver guardato a lungo, il poliziotto gli chiede se è proprio sicuro di averla persa lì. L’altro risponde: ‘No, non qui, là dietro; solo che là è troppo buio’.

Illogico, vero? Eppure è proprio questa la logica che governa le nostre azioni ripetitive in tanti campi della vita. Pensa per esempio a quel che succede, in moltissimi casi, sul lettino dello psicoanalista. Tu ti distendi, parli delle tue angosce, racconti i tuoi sogni, e per qualche mese – o anno, se sei fortunato – ti sembra di fare continue, abissali scoperte sulla tua vita. Stai per trovare la chiave, infine! Poi però questa fase vulcanica ha un termine, e ciò che segue è un lungo strascico di sedute in cui, anziché andare avanti, hai l’impressione di girare intorno ai tuoi problemi, che restano lì a prender polvere. Vedi ormai con chiarezza i tuoi meccanismi nevrotici, potresti scrivere un romanzo a puntate sulla tua infanzia, padroneggi l’arte di interpretare i sogni ma da quel pozzo onirico peschi, con virtuosismi esegetici degni di un decostruzionista, sempre gli stessi miseri pesci.

Una voce ti dice, come Gesù al paralitico: “Alzati, prendi il tuo lettino e vai a casa”. Ma tu su quel lettino ci resti, al limite ti giri su un fianco o ti assesti meglio sullo schienale, perché il malato si affeziona al suo letto d’ospedale, e perché anche se la chiave è altrove e sappiamo che ormai sotto il lampione non troveremo nulla, quel cono di luce è così rassicurante. L’analisi, che doveva essere un pit-stop per riparare i guasti e rimettersi in pista, è diventata un parcheggio, o un garage.

Un comodo rifugio
Un rischio simile si presenta anche quando diventiamo lettori. Scusa se ti parlo in questo tono di paternalismo un po’ stucchevole, ma dalle cose che scrivi immagino tu sia molto giovane. Ebbene, sappi che ho passato l’adolescenza a leggere come un forsennato – a volte letteralmente sotto i lampioni, a volte perfino sbattendo contro i lampioni pur di non interrompere la lettura. Cercavo la chiave in quello spiazzo rischiarato, sì, ma cercavo anche un rifugio (la mia casa in cima all’albero era una libreria del centro di Roma che oggi non esiste più, si chiamava Remainders). Poi il rifugio mi è sembrato così comodo che ho fatto finta di cercare la chiave in quel perimetro delimitato dai libri, ma in realtà mi stavo solo proteggendo dal buio.

La letteratura è tante cose, come dici tu: le ragioni per leggere sono mille e ti auguro di leggere almeno un libro per ciascuna di esse. Ma se cerchi nei romanzi la risposta ai tuoi problemi o il segreto della tua identità, mi raccomando, resta sotto il lampione letterario solo quel tanto che basta da trovare una chiave. Non quella di chissà quale conoscenza misterica, che probabilmente cercherai per una vita: la chiave che ti serve in quel momento. Poi torna a esplorare il buio. Potrai sempre tornare nella piazzola illuminata per cercarne un’altra. Basta che non dimentichi di portare con te la chiave più importante: quella che ti consente di entrare e uscire dalla letteratura, la tua casetta in cima all’albero, per non ammalarti di bovarismo e di altre forme di esistenza mancata.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

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