12 aprile 2018 17:17

Caro bibliopatologo,
un paio d’anni fa, per la prima volta, ho sperimentato sulla mia pelle l’effetto lenitivo di un libro in un momento in cui la vita mi ha ferito profondamente. La trilogia del Signore degli anelli di J. R. R. Tolkien, e poi Lo hobbit e Il silmarillion, sono stati la mia medicina. Gli ambienti, i personaggi, lo stile e la lingua mi accoglievano e coccolavano. Ora, con la notizia della malattia di mia mamma, Montalbano è entrato a far parte del mio ricettario. Camilleri ha delineato un personaggio e un micromondo così coerenti che sembrano veri, e la ripetizione degli stessi modelli nelle descrizioni, nelle storie e nei personaggi mi dà la speranza che le cose che conosco continuino a essere quelle che sono. Solo che ora sono terrorizzata dal pensiero che le sue avventure prima o poi finiranno. Cosa farò dopo? Dove andrò?
–Sara

Cara Sara,
che cosa resta dei nostri libri? Potremmo cantarlo sulle note di Charles Trenet, sempre che Mariano Apicella accetti di accompagnarci alla chitarra. Luciano De Crescenzo, nelle prime pagine della Storia della filosofia greca, rievocava i suoi appunti iper-bignamizzati di liceale in cui Talete diventava, brutalmente, “quello dell’acqua”. Per altri studenti meno attenti, forse, perfino la reminiscenza di quell’acqua presocratica è evaporata. È destino comune, del resto. Francesco Guicciardini scrisse una Storia d’Italia in venti libri e molte altre opere, ma alla fine della fiera tutto quel che si è depositato nella zucca dei suoi connazionali sono le undici misere lettere di una parolina, particulare. Guicciardini, “quello del particulare”. Allo stesso modo, delle migliaia di pagine studiate negli anni universitari per dare gli esami di semiotica il setaccio della mia mente – o forse è il caso di dire il colabrodo – non ha trattenuto che due parole: “Mondi ammobiliati”.

Ne parlava Umberto Eco in un libro intitolato I limiti dell’interpretazione, e da allora quella formula mi ronza in testa. Eco diceva – ti faccio una sintesi per strappare il diciotto – che a differenza dei “mondi possibili” della logica modale, che sono vuoti, i mondi narrativi che incontriamo nei romanzi sono, appunto, ammobiliati. Ecco un buon bandolo per rispondere alla tua domanda, così strana nella formulazione eppure così naturale, così immediatamente riconoscibile per chiunque ami davvero la lettura: dove andrò? Già, perché se un romanzo è ben ammobiliato, se nelle sue pagine non manca nulla di quel che ti serve – strade, piazze, semafori, negozi, luoghi di ritrovo, animali domestici, suppellettili, utensili da cucina, un frigorifero ben fornito – non solo puoi leggerlo, ti ci puoi anche trasferire per un periodo più o meno lungo.

Le formule di ospitalità letteraria sono molte, ciascuna con le sue clausole. Puoi usare un romanzo come un bed and breakfast dove passare un paio di notti, o addirittura come un albergo a ore dove trattenerti per un convegno un po’ losco. Ma puoi anche traslocarci in pianta stabile, senza nessuna idea di tornare alla realtà extra-cartacea (ho amici che hanno preso la residenza nel Finnegans wake di James Joyce e probabilmente ricevono lì anche la tessera sanitaria e il certificato elettorale). Le due saghe che citi appartengono a generi diversamente congeniali a una lunga vacanza. Nel fantasy la febbre cosmogonica degli autori è scatenata, sono i grandi urbanisti, architetti e arredatori della letteratura, e i loro mondi sono così ben ammobiliati che sembrano non aver bisogno del nostro: hanno le loro mappe, i loro regni dai nomi strani, la loro vegetazione fantastica, il loro minuziosissimo bestiario, la loro gerarchia magica degli esseri viventi. Tutto si può pensare di Tolkien, ma è difficile negare che il suo universo, una volta richiuse le pagine, dà l’impressione di continuare a starsene lì, massiccio e ben piantato, in qualche dimensione parallela.

Lo stesso si può dire del giallo classico, dei suoi villaggi e delle sue cittadine di provincia, della sonnacchiosa Wrightsville dei romanzi di Ellery Queen, dell’Inghilterra rurale di Agatha Christie, quel piccolo mondo antico che un teorico del giallo, Colin Watson, battezzò Mayhem Parva, con il suo vicariato, la sua biblioteca, la bottega del farmacista, il cottage di famiglia, dove dopo ogni delitto tutto torna come prima e il tempo riprende a scorrere in cerchio.

Dove andrai, finita la vacanza nella Sicilia di Montalbano? Non hai da preoccuparti, anche i mondi di finzione hanno i loro dépliant turistici, le loro agenzie di viaggio e le loro Lonely Planet. Per non arrivare impreparata, comincia a sfogliare il Dizionario dei luoghi letterari immaginari di Anna Ferrari e l’Atlante dei luoghi letterari curato da Laura Miller. E buon viaggio.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

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