19 aprile 2018 15:05

Caro bibliopatologo,
sono una studentessa di medicina di ventitré anni e da un po’ di tempo sento una vera e propria aridità dovuta alla quasi assenza della lettura nelle mie giornate. Ho sempre avuto un rapporto strano con i libri: sono una persona molto curiosa, ma sono cresciuta con paletti grandi come case imposti da insegnanti e genitori. Ricordo che alle elementari la mia insegnante di italiano mi vietò di prendere in prestito Piccole donne dalla biblioteca scolastica, perché secondo lei non era adatto a una bambina di sette anni. Mia madre invece mi ha vietato di leggere molti romanzi fantasy che andavano di moda quando avevo dodici o tredici anni, perché li riteneva inadeguati. Questo penso mi abbia reso difficile l’approccio ai libri, ma vorrei cercare di sbloccarmi.
–Aurora B.

Cara Aurora,
sei così certa che la maestra di italiano e la mamma abbiano voluto ostacolare la tua passione per la lettura? La storia sembra insegnare il contrario. In un libello anonimo del 1644 intitolato Anima di Ferrante Pallavicino si legge che “gl’inquisitori rendono desiderabili alcuni libri col proibirli” e che “alcuni libri si perderebbero nell’oblivione col nome degli stessi autori se da gl’indici de l’Inquisizione non venissero resi immortali”. Vent’anni prima Thomas James, bibliotecario di Oxford, aveva pubblicato un Index generalis librorum prohibitorum a ponticifiis presentandolo, nella prefazione, come un elenco di letture raccomandate; e c’erano in tutta Europa lettori famelici e curiosi che si dedicavano a raccogliere solo i volumi messi all’indice.

Così funzionano grosso modo tutti i divieti: la loro conseguenza inintenzionale – l’attribuire agli oggetti che ne sono colpiti un fascino che di per sé non avrebbero – è così meccanica e prevedibile da prestarsi ormai a ogni uso pubblicitario. Ancora oggi, cinquant’anni dopo la soppressione dell’Indice, ci sono gonzi che si possono prendere all’amo con fascette editoriali come Il libro che il Vaticano non vorrebbe farti leggere. Ma le proibizioni dell’infanzia conservano ancora un’ombra dell’antica autorità ecclesiastica, e intorno a esse si addensano desideri e terrori genuini.

Il mio Indice è stato molto diverso dal tuo. Quando avevo sette anni il divieto cadde su un film, Paradise, che davano in seconda serata su ItaliaUno. Era la storia di due adolescenti e della loro iniziazione erotica in un’oasi nel deserto siriano. Ricordo che di tanto in tanto, con qualche scusa, mi allontanavo dal salotto e m’infilavo furtivamente nella stanza della televisione, col cuore in gola, per carpirne almeno qualche immagine. Prima scena: lui tocca il seno di lei. Seconda scena, un po’ più avanti nel film: lei gli annuncia di essere incinta. Giuro, per il resto dell’infanzia sono rimasto con il dubbio che la gravidanza si ottenesse dal contatto mano-seno. La mia vita fantastica sarebbe stata molto più spenta, senza quel provvidenziale divieto.

Quando avevo nove o dieci anni, invece, per qualche ragione mi proibirono gli Epigrammi di Marziale, in un’edizione Garzanti che aveva sulla copertina quella che mi sembrava una specie di strega (e che era, come avrei appreso anni dopo, un disegno di Mino Maccari). Mio padre lo aveva posato, di taglio, su uno scaffale alto della libreria nel suo studio, e in sua assenza mi arrampicavo volentieri per cercare di capire, invano, cosa avesse di tanto sconveniente. E dire che, spontaneamente, non l’avrei mai letto.

Ancora oggi, scorgendo il dorso di quel libro – per la gioia di Freud scopro di averlo posato, di taglio, su uno scaffale alto della libreria nel mio studio – mi torna il batticuore e la voglia di rubargli i suoi segreti. E in un attimo di illuminazione, come davanti a un’ovvietà troppo a lungo sepolta da mille carte e da mille chiacchiere, mi ricordo perché sono diventato un lettore. Vuoi il mio consiglio per sbloccarti? Torna alla tua scuola elementare, e vedi se c’è modo – magari per interposta bambina – di prendere in prestito dalla biblioteca proprio quella copia di Piccole donne.

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