24 maggio 2018 16:12

Gentile bibliopatologo,
vivo all’estero per un dottorato e due anni fa i miei genitori hanno deciso di trasferirsi in un’altra città. Ciò ha voluto dire inscatolare in fretta trent’anni di biblioteca, libri d’infanzia e testi universitari compresi, e riaprire quegli stessi scatoloni a un ritmo decisamente più lento. Ebbene, dopo aver cercato invano alcuni titoli durante questi due anni e ricordarmene altri che non vedevo sui miei scaffali, ho calcolato di aver perso più di settanta libri nel trasloco. Come faccio a superare questo lutto? Ricompro quanto perduto, piano piano? Oppure opto per una cerimonia liberatoria che implichi qualche forma di assoluzione (mia, della mia memoria, dei traslocatori) e vado avanti cercando e leggendo i libri che il futuro mi riserva?
–Rebecca​, Kenilworth (Regno Unito), Bologna

Cara Rebecca,
le due soluzioni che hai in testa sono entrambe troppo dispendiose: la prima economicamente, la seconda psicologicamente. Hai idea di quanto sia faticosa l’elaborazione del lutto? E tu vorresti salire e ridiscendere quello sciaguratissimo pendio settanta volte, una per ogni libro smarrito? Il diniego, la rabbia, il primo venire a patti con la realtà, poi la depressione, infine l’accettazione della perdita… Fidati, è uno sbattimento interiore che puoi risparmiarti tranquillamente. Ti dico io di cosa hai bisogno, tu: hai bisogno di una bella teoria del complotto.

È la soluzione che ho scelto dopo il mio ultimo trasloco, e ne sono pienamente soddisfatto. Un giorno non trovavo un libro, poi non ne trovavo un altro, poi un altro ancora. Alla fine ne avevo contati una dozzina – una compagnia molto eterogenea, oltretutto. Avrei potuto dare la colpa al caos che regna da sempre nella mia testa e nella mia libreria, ma sarebbe stato troppo maturo. Così ho cominciato a fantasticare intorno a un mitico scatolone perduto, fatto scomparire da una diabolica massoneria di traslocatori bibliofili. Ma perché volevano proprio quei libri e non altri? Mi sono messo allora a cercare un legame invisibile tra i dodici volumi di cui avevo perso le tracce, e immancabilmente l’ho trovato – perché così funziona la mente umana, quando ci si mette d’impegno. Non avevo più bisogno di elaborare il lutto: dovevo solo sbrigliare la paranoia.

Nella tua lettera (che ho dovuto tagliare molto, e a malincuore), menzioni due dei libri scomparsi: I demoni meridiani di Roger Caillois e la prima edizione dell’Atlante di Jorge Luis Borges. Perché la setta dei traslocatori esoterici voleva metter le mani su quei libri? Oppure – ipotesi cospiratoria più inquietante – perché voleva che tu non li avessi? Temeva forse che per sfuggire al demone di mezzogiorno dell’accidia tu scegliessi la via dei viaggi per il mondo, magari, come Borges, in California su una mongolfiera? Scommetto che è implicata la setta segreta dei mongolfieristi (va’ a fidarti, di quelli). E che costellazioni mentali compongono, quei due libri, insieme agli altri sessantotto che mancano all’appello? Ne hai, di tasselli da rimettere al loro posto!

Come vedi, non c’è ragione perché tu debba tormentarti, dare l’addio tra le lacrime ai libri perduti nella tua memoria, perdonare con riluttanza la fortuna avversa che te li ha fatti perdere, sperare nell’incontro con libri nuovi che ti faranno tornare a sorridere. No, queste cose lasciamole alle persone assennate. Tutto quel che ti serve è un buon plot – che nell’Inghilterra da cui mi scrivi indica allo stesso tempo, come sai, un complotto e una trama romanzesca. Il tuo compito è radunare i libri perduti in un immaginario romanzo bibliografico, il più intricato e cervellotico possibile. È il miglior omaggio che puoi fargli, il solo monumento che puoi innalzare ai tuoi caduti.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

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