12 luglio 2018 16:30

Gentile bibliopatologo,
da quando ha aperto la sua rubrica le ho scritto decine di lettere sulle mie innumerevoli bibliomanie. Ma le ho tutte brutalmente cestinate perché le ritenevo scialbe e trite. Lo stesso ammetto di aver fatto con la maggior parte dei miei timidi tentativi di produzione letteraria. Tale condizione mi ha portato a pormi una domanda: mi è capitato di apprezzare alcuni aspetti di opere per altri versi decisamente poco allettanti, ma di norma sono dell’idea che molti dei libri che divengono best seller sarebbero dovuti, per pudore, rimanere nel cassetto del loro autore. Come si può trovare il giusto mezzo tra il pubblicare gravosi gioghi letterari ed evitare di perdere quel raro, ma a volte meraviglioso, guizzo di interesse che contengono?

–Fiammetta

Cara Fiammetta,
in quel tuo inciso lasciato cadere lì quasi sbadatamente – “per pudore” – si annida la tragedia dell’editoria mondiale. Trascrivo l’incubo di un giovane lettore di case editrici oberato dai manoscritti, come lo riportava Fabio Mauri nel volumetto I 21 modi di non pubblicare un libro:

Sogno una marea di uomini, vestita alla Ensor, che avanza a ritmo di illusioni, certi individualmente che nei propri scritti si ripeta il timbro del bop, la bellezza fredda di un teorema, la nodosità dell’inconscio, o una fibra inevitabilmente classica. Joyce nella tasca sinistra, Musil nella destra, un bignamino di filosofia nel taschino, pigiati, affaticati di essere in tanti, esprimere un’ispirazione collettiva, un fallimento dolorosamente universali. La volontà di scoppiare in alto con il loro io represso e profondo. Soffro nel sogno… Mi dicono che qualche volta grido. Perché a metà il sogno è un puro incubo: la turba prende coscienza di sé, si accorge di essere in tanti, cerca un’unione non occasionale, dà l’assalto al potere. Con successo. Le case editrici vengono occupate…

La visione va avanti così per altre due pagine. Ed erano solo gli anni cinquanta: non avevamo ancora visto nulla. Il divertimento di Mauri, apparso nel 1966 sulla rivista Tempo Presente, quando l’autore era direttore della sede romana della Bompiani, fu ristampato dal Mulino nel 1990, e leggendo la prefazione di Umberto Eco si capiva subito che nel frattempo le cose erano precipitate:

Escludiamo dai produttori di testi i bambini di età inferiore a quella scolare, ma in ogni caso dopo Io speriamo che me la cavo, sei anni sono sufficienti per aspirare a un grande editore. Non commettiamo la leggerezza di escludere gli analfabeti (vista l’esistenza di etnologi e registratori), né i portatori di handicap gravissimi (Hawking insegni). Non tentiamo di essere ottimisti sui vegliardi, moribondi, afasici, schizofrenici, pazzi criminali e depressi cronici (altrimenti dovremmo cancellare con un colpo di spugna due terzi della letteratura mondiale). A questo punto si può legittimamente ipotizzare che 50 milioni di italiani producano almeno un manoscritto nel corso della loro vita terrena.

Incubi da letterati, per giunta da anni lontani in cui non c’erano ancora internet, la posta elettronica e i pdf, e mettere sotto assedio gli editori era più difficile e più costoso. Ma guai a commettere l’imprudenza di sottovalutarne il valore profetico.

Perché poi un bel giorno del 2015 arriva un ministro della cultura, Dario Franceschini, e annuncia: “Faremo la Biblioteca Nazionale dell’Inedito. Un luogo dove raccogliere e conservare per sempre romanzi e racconti di italiani mai pubblicati”. Oggi quel giovane lettore conosciuto da Mauri negli anni cinquanta dovrebbe aggiornare il suo incubo con la scena di milioni di romanzi che escono nottetempo dai cassetti, strisciano sui pavimenti, sfilano foglio dopo foglio sotto le porte e si mettono in marcia verso un palazzo dai corridoi infiniti: una scena che forse solo il Terry Gilliam di Brazil saprebbe girare.

Come vedi, la tua domanda sul “giusto mezzo” suona come l’osservazione di un gentiluomo sobrio in un pub irlandese nel giorno di San Patrizio. Gli ubriaconi sospenderanno per un attimo le loro canzoni stonate, si guarderanno interdetti tra di loro sotto i cappelli verdi, e poi riattaccheranno a cantare a squarciagola, arciconvinti che il vero sbronzo sia lui.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

Dal 5 al 7 ottobre Guido Vitiello terrà un workshop sull’arte della recensione al festival di Internazionale a Ferrara.

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