26 luglio 2018 16:03

Gentile bibliopatologo,
libri e lettura sono sempre stati la mia attività preferita e la mia personale cura alla solitudine. Ho fatto della mia passione il mio lavoro, faccio cioè – anzi, ahimè – la bibliotecaria. Anno dopo anno, in maniera prima discreta e ambigua poi sempre più palese e incontrovertibile, il mio amore per la letteratura è finito. Io non riesco più a leggere. Il mio lavoro ha scoperchiato il mio rifugio e ha trasformato quelli che erano mondi sconosciuti e intriganti in meri oggetti, più o meno colorati, che attirano polvere e si ingialliscono facilmente. Continuo a frequentare librerie e bancarelle e biblioteche, e a guardare ossessivamente i libri negli scaffali di case di conoscenti e sconosciuti. Ma guardo solo le copertine, i titoli, i frontespizi e le date di edizione; il mio amore per la letteratura non dura più del tempo di lettura di una quarta di copertina. Il risultato è che ho più tempo libero e sono più triste. Che faccio, mi licenzio?

–Bianca

Cara Bianca,
c’è una frase del filosofo-moralista Vladimir Jankélévitch che mi perseguita fin dai tempi dell’università, e più quegli anni si allontanano, più forte la sento risuonare nella mente – come l’eco molesta di un ammonimento un po’ pedante che il figlio spavaldamente ignora fino al giorno in cui si trova ad ammettere, a malincuore, che aveva ragione la madre. L’ho letta in un saggio sulla noia: “Non appena si pretende di soggiornarvi, i giardini dell’Eden divengono un misero orticello: là dove c’erano gli splendidi frutti magici, non sono rimasti più che i fiori che si possono comunemente cogliere per le strade dei dintorni”.

Per gli amanti dei libri, l’Eden è la biblioteca (Jorge Luis Borges lo ha proclamato a nome di noi tutti: “Ho sempre pensato al paradiso come a una biblioteca, non come a un giardino”). Tu hai pensato di poter stabilire la tua residenza nel Paradiso terrestre, hai voluto piantarci la tua tenda; era quasi fatale che i frutti magici dei libri finissero per apparirti come fiori di carta di vari colori, che da emissari di un al di là misterioso si trasformassero in muti cimiteri di segni neri.

Jankélévitch, del resto, è stato l’ultimo dei grandi pascaliani, e quella sua frase si può leggere come una variazione su un tema dei Pensieri: “Noi non cerchiamo mai le cose, ma la ricerca delle cose”. Non la lepre, ma la caccia alla lepre; non il denaro che si può vincere al gioco, ma il gioco in sé: sono alcuni degli esempi che fa Pascal. La disponibilità simultanea e illimitata di tutti i beni che desideravamo ci è inaspettatamente odiosa, perché ci mette davanti alla constatazione che non è il loro possesso ciò che avrebbe potuto renderci felici; e ci sono autoinganni vitali che è prudente preservare, come grosse pietre che, se scostate dall’erba per accanimento illuministico, lasciano sgusciar fuori qualche serpente velenoso – ed eccoci tornati all’Eden e alla caduta.

È una pugnalata alla coscienza che ci viene, per una legge crudele ma tutt’altro che indecifrabile, proprio da dove non avremmo mai voluto che venisse: “Dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”, dice Gesù. Il tuo amore per la letteratura ha fatto sì che la rivelazione della noia universale ti arrivasse per tramite della vita quotidiana in biblioteca; ma avrebbe potuto albeggiare ugualmente sul goloso diventato pasticciere, sull’avido benedetto da una vincita strabiliante alla lotteria, sul lussurioso che ha intrapreso l’onorata carriera di pornodivo. Viene il momento in cui tra tutti quei dolci, quei soldi, quei corpi o quei libri ci si domanda: era davvero questo che volevo? E il metodo più sperimentato per fronteggiare la domanda è metterla a tacere, soffocarla in gola, distrarsene, dimenticarla il più a lungo possibile. Il suo pungolo tornerà ciclicamente a farsi sentire – ma per questo, che io sappia, non c’è rimedio.

È una risposta disperata? Probabilmente sì. Ma se conoscessi la cura per il taedium vitae o la mappa per tornare al Paradiso terrestre non sarei un bibliopatologo, credimi. Sarei qualcosa a metà tra un illuminato e un messia.

Intanto mi ritiro per qualche settimana a meditare, poi magari fondo una religione. Buone vacanze a tutti, ci ritroviamo qui al rientro!

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

Dal 5 al 7 ottobre Guido Vitiello terrà un workshop sull’arte della recensione al festival di Internazionale a Ferrara.

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