21 marzo 2019 16:06

Gentile bibliopatologo,
tante volte ho fatto ricerche tra le bancarelle o su internet – alcune durate mesi – per trovare un libro fuori catalogo ormai irreperibile del quale ero convinto di non poter fare a meno. Ma mentre un tempo, appena venuto in possesso degli oggetti bramati, mi lanciavo in un’avida lettura, ora li appoggio sul comodino, dove posso vederli ogni sera, e rimando senza mai decidermi impegnandomi in altre letture. La pila sul mio comodino si fa sempre più alta e comincia a vacillare, ho qualche speranza?

–Michelangelo

Caro Michelangelo,
il filosofo Giuseppe Rensi si era già fatto la tua domanda, quasi con le stesse parole:

Quante volte non ti è accaduto di sentire che se non hai quel libro ti manca un elemento capitale della tua cultura, di resistere a lungo alla tentazione di acquistarlo, ma invano, ché più resistevi più quel libro ti appariva indispensabile e vergognoso l’esserne privo; e, quando finalmente hai ceduto e lo hai acquistato, dopo un’occhiata all’indice e ad alcune pagine, vederti improvvisamente venir meno il bisogno di esso, cosicché non lo hai letto più per gran tempo seppure lo hai letto mai!

Nella stessa pagina delle Lettere spirituali, Rensi si era dato anche una risposta, o una diagnosi: si tratta di una forma di dongiovannismo, una variante libresca della compulsione a sedurre donne e ad annoiarsene un minuto dopo.

Pchyburrs/Getty Images

C’è del vero, ma non credo sia tutto. All’inizio dell’Uomo senza qualità di Robert Musil, il protagonista Ulrich si trova a risistemare e ad arredare la malandata palazzina viennese di cui è entrato in possesso. Per quest’uomo della possibilità, la cui vita è “un filato fatto di fumo, immaginazione, fantasticherie e congiuntivi”, non è certo un compito facile:

Dalla ricostruzione rigorosa fino alla libertà più completa, egli disponeva di tutte le soluzioni, e allo stesso modo si offrivano alla sua mente tutti gli stili, dall’assiro al cubista. Che cosa scegliere? (…) la responsabilità di arredarsi la casa lo agitava moltissimo, e si sentiva pendere sul capo il minaccioso avvertimento “Dimmi come abiti e ti dirò chi sei”, che tante volte aveva letto nelle riviste specializzate. Dopo aver consultato minuziosamente tali riviste, concluse che era meglio intraprendere da solo la costruzione della propria personalità.

Ma Ulrich è così cronicamente indeciso che finisce per affidarsi agli arredatori. Il sociologo Peter L. Berger, nel breve saggio Robert Musil e il salvataggio del sé, ha letto in questo episodio un ritratto accurato della condizione dell’individuo moderno, che non trovando in sé nulla di saldo a cui ancorarsi “arreda la sua vita come arreda la sua casa, e molto spesso il secondo arredo è simbolo del primo”. La casa è infatti la metafora più antica e radicata del sé – basta sfogliare qualche pagina di Freud per persuadersene – ma non è l’unica. Con lo stesso spirito di Ulrich, per esempio, milioni di persone arredano ogni giorno i loro profili sui social network. E per i bibliomani come te e me c’è la libreria – che fin da quand’ero ragazzo ha spodestato nei sogni il simbolo onirico della casa: l’immagine di me coincideva con l’immagine della mia biblioteca.

Dove voglio arrivare? È semplice: se senti di non poter fare a meno di alcuni libri rari, se sei disposto a inseguirli tenacemente come un predatore e non trovi pace finché non te li sei procacciati, non è perché desideri nutrirti dei loro visceri. È perché ti sono indispensabili a comporre un’immagine di te in cui vuoi rispecchiarti. C’è chi si affida agli arredatori, comprando i libri a metro in base alle tinte del salotto, chi alle “riviste specializzate” di Ulrich, procurandosi diligentemente le novità che l’industria editoriale gli spinge sotto il naso come imprescindibili.

Tu hai scelto la via più scomoda, più frustrante, più costosa ma anche più entusiasmante. È un’avventura lunga una vita. Nell’edizione di Musil che ho sotto mano, l’episodio della palazzina da arredare cade intorno a pagina venti. Ne seguono altre mille – ed è solo il primo volume.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

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