20 giugno 2019 17:29

Gentile bibliopatologo,

quando arrivo alla fine di un capitolo di un libro mi sembra di avere la possibilità di fare un bel respiro dopo tanto tempo passato in apnea, come se questa pausa tra una pagina e l’altra mi autorizzasse a distrarmi per un attimo dalla storia. Eppure, quell’attimo è sufficientemente lungo da stimolare la mia fantasia e curiosità e farmi leggere le pagine tutte d’un fiato. Perché queste interruzioni sono così importanti? Esiste un libro senza capitoli?

–Eleonora

Cara Eleonora,

il problema è nostro, che siamo viziati. Siamo abituati a ciondolare per le nostre belle pagine ariose, circonfuse dal bianco, piene di corridoi e di disimpegni e di passaggi e di interstizi, e a volte ci sembrano anche quelle troppo affollate: reclamiamo più spazio. Ma non sempre è stato così. Non solo esistono libri senza capitoli, e sono moltissimi, esistono anche libri senza paragrafi e libri senza punteggiatura, un unico rettangolo fitto e impenetrabile di inchiostro nero ripetuto per centinaia di pagine. Ti dirò di più: nell’antichità non c’era neppure lo spazio tra una parola e l’altra – era la cosiddetta scriptio continua, che oggi può sembrarci un incubo claustrofobico.

In un libro che ti raccomando, intitolato Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto, Leonardo G. Luccone racconta di aver assistito a un convegno sull’abbattimento delle barriere architettoniche, e di averne ricevuto una piccola illuminazione. A un certo punto, dice, ha preso la parola un avvocato non vedente, rappresentante di qualche associazione:

“Voi non sapete cos’è una barriera architettonica” ha detto, e ha fatto una pausa lunghissima, come se fosse tutto lì quello che aveva da dire. “Voi pensate che a un cieco basti un accompagnatore, e il problema è risolto (…) Sapete di cosa ho più paura? (…) Ho paura dei grandi spazi al chiuso; quelli enormi senza ostacoli, né guide. I centri commerciali per esempio, o gli ospedali” e con un telecomando ha iniziato a far scorrere delle slide. Si vedeva la hall di un grande albergo, un museo, il foyer di un teatro, vari centri commerciali tutti uguali. Si è soffermato su un’immagine che a me è sembrata solo una grande distesa di marmo rosato. “Vedete? Questa è una barriera sensopercettiva”.

Jorg Greuel, Getty Images

E cos’è una barriera sensopercettiva? L’avvocato lo ha spiegato in modo semplice:

“Io lì non saprei dove andare. Non correrei nessun particolare pericolo, ma non saprei dove andare. Mi sentirei perso. Ecco perché hanno inventato le guide tattili che avete sicuramente visto sulle banchine delle stazioni ferroviarie o delle metropolitane. Avete presente? Quelle tutte a strisce e pallini. La maggior parte delle persone non hanno ancora capito cosa ci stanno a fare. Grazie a quelle guide e al bastone sono in grado di capire dove sono; posso raggiungere una parete, e con una parete accanto so come muovermi. Posso arrivare ovunque”.

La punteggiatura, suggerisce Luccone, è la nostra guida sensopercettiva. E non è l’unica, aggiungo. Anche le interruzioni tra un capitolo e l’altro, che a te sembrano giustamente così vitali, consentono di orientarsi in un palazzo sconosciuto. Ce ne sono di complicatissimi, oltretutto. Sei mai stata in rue Simon-Crubellier? È la via di Parigi (immaginaria) in cui Georges Perec ha collocato il caseggiato di dieci piani, con dieci stanze per piano, dove si svolgono le storie di La vita, istruzioni per l’uso. Da bravo architetto, ha suddiviso quello spazio enorme in novantanove capitoli, che fanno da guida sensopercettiva al lettore e gli impediscono di smarrirsi. E non solo: in coda ha aggiunto anche una planimetria dell’immobile e diverse pagine di riferimenti cronologici.

Davvero pensavi che bastassero un accompagnatore, un bastone bianco o un cane guida?

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