C’è stato un prima della guerra in Ucraina e ci sarà anche un dopo, ma nessuno può dire quando arriverà e come sarà. Una cosa però è sicura sei mesi dopo l’inizio dell’invasione russa: tra le vittime ci saremo anche noi che siamo lontani dalla linea del fronte, vediamo la guerra solo attraverso le immagini e non abbiamo avuto parenti uccisi da granate o bombe.

Dopo averci sconvolto, disgustato e ossessionato, il conflitto ucraino è diventato un argomento tra tanti. Quest’estate abbiamo cercato di lasciarlo da parte, perché altrimenti sarebbe stato insopportabile. Ma questi sforzi non ingannano nessuno e soprattutto non possono nascondere la destabilizzazione del mondo provocata dalla guerra e dalle sanzioni inflitte alla Russia di Putin. Il conflitto è diventato l’epicentro di un terremoto globale che fa sentire le sue scosse ogni giorno nelle pieghe della nostra vita quotidiana.

Non ci sono una fine e una soluzione in vista. Pensavamo che la pandemia fosse stata lunga, logorante e incerta, ma non è niente in confronto a questa guerra che oggi è in una fase di stabilità molto relativa, con l’aggredito che non cede all’aggressore, responsabile di azioni crudeli, e con le grandi potenze che muovono le loro pedine. La guerra ha contaminato i paesi europei, che con l’avvicinarsi dell’inverno devono affrontare due problemi fino a poco tempo fa impensabili: ci sarà energia sufficiente per riscaldare le scuole, le case, far funzionare le fabbriche e mantenere i posti di lavoro? Avremo abbastanza soldi per pagare le bollette senza diventare poveri? Intanto, in altri paesi le persone si fanno una domanda ancora più angosciosa: avremo ancora da mangiare?

Mai nell’ultima generazione il mondo si è trovato in un tale stato di pericolo, attraversato da minacce che si sovrappongono tra loro: quelle dell’estremismo politico – Donald Trump, Marine Le Pen, Giorgia Meloni –, i rischi di incidenti nucleari, di crisi sociali ed economiche; il tutto mentre dovremmo, insieme, occuparci della crisi climatica. “Dio mio, se sopravvivo farò di tutto per cambiare le cose”, ha scritto nella sua confessione il soldato russo Pavel Filatiev. Di fronte a questo caos i sopravvissuti devono passare all’azione. Il peggio non è mai certo, ma per evitarlo serve che ognuno di noi, nel posto in cui si trova, si metta all’opera per invertire la rotta. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1475 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati