Una delle peggiori crisi umanitarie del mondo si è aggravata in modo drammatico negli ultimi due mesi, nel generale disinteresse della comunità internazionale. Nella regione del Tigrai, nel nord dell’Etiopia, dove le forze federali sono in conflitto con le autorità locali, la ripresa degli scontri alla fine di agosto ha provocato vittime civili, distrutto le infrastrutture di base e costretto decine di migliaia di persone a lasciare le loro case. Ora che sono cominciati dei colloqui di pace, i leader regionali e mondiali e le istituzioni multilaterali devono fare pressioni per un immediato cessate il fuoco.

Dal novembre 2020 il conflitto nel Tigrai ha presentato un conto inimmaginabile in termini di vite umane. Fin dall’inizio, la guerra è stata segnata dalla violenza e dal disprezzo per le vite civili. La reale portata delle devastazioni è difficile da valutare, ma i ricercatori dell’università di Gand, in Belgio, ritengono che la guerra, le carestie che ha provocato e la mancanza di cure mediche abbiano provocato fra i 385mila e i 600mila morti. Gli sfollati sono milioni.

Il segretario generale dell’Onu António Guterres ha avvertito che l’Etiopia “è entrata in una spirale fuori controllo”. Finora le iniziative diplomatiche sono state incoerenti e mal coordinate. Adesso che la guerra è in una fase critica, la comunità internazionale deve moltiplicare gli sforzi. I leader mondiali dovrebbero spingere le parti a negoziare sul serio. Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno ancora un certo potere: potrebbero minacciare nuove sanzioni per chi viola i diritti umani e bloccare gli aiuti non umanitari finché non si faranno progressi. Il mondo non ha più scuse per far finta di non vedere. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1484 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati