diplomazia

Nella diplomazia cinese, accusare una potenza straniera di avere una “mentalità da guerra fredda” è il peggiore degli insulti. Ma questo sdegno non rende giustizia alla realtà di quegli anni.

Gli Stati Uniti cercavano di ostacolare l’Unione Sovietica evitando però il conflitto armato in ogni modo possibile. Lo scontro era comunque terrificante, spesso irrazionale, e segnato da azioni vergognose compiute da entrambe le parti. In alcuni casi, però, come nella crisi dei missili di Cuba nel 1962, la prospettiva dell’annientamento reciproco spinse i lea­der a scongiurare la guerra.

Nei rapporti tra Cina e Stati Uniti sopravvivono alcuni degli aspetti peggiori di quell’epoca: per esempio, le motivazioni dell’avversario sono per definizione malvagie, e le opposte narrazioni della realtà rendono qualsiasi controversia insormontabile. Pechino ha insinuato che l’esercito statunitense abbia creato il covid-19. Lo ha detto per ribattere alla teoria, rispolverata di recente da Washington, secondo cui il virus sarebbe uscito per errore da un laboratorio a Wuhan. Come un tempo, la corsa al riarmo è tornata a indebolire la forza deterrente che agiva sui due paesi.

La competizione sino-statunitense rischia di diventare una parodia della guerra fredda. Troppi politici a Washington trattano ogni interazione con Pechino come una minaccia e un’occasione per dimostrare il proprio patriottismo. Il Partito comunista ricorda quei princìpi che contribuirono a mantenere la pace nei momenti più delicati degli anni sessanta e settanta, ma lo fa per motivi di facciata.

Un esempio è il concetto di “sicurezza assoluta”. Gli interventi del presidente Xi Jinping evocano una forma di sicurezza discutibile, che nasce quando due potenze nucleari rivali sono consapevoli che una guerra causerebbe la distruzione reciproca. “Nessun paese dovrebbe perseguire la propria sicurezza assoluta a spese della sicurezza degli altri”, dice Xi, che allude alle alleanze difensive a guida statunitense, soprattutto in Asia. A suo dire, i trattati di difesa sono un’eredità della guerra fredda altamente destabilizzante, perché sono funzionali alla “sicurezza assoluta di pochi paesi ma lasciano nell’incertezza gli altri”. Sofismi: il presidente usa la retorica per spiegare che a Pechino non piace la difesa in chiave anticinese dei suoi vicini. Con la stessa logica, più di recente, i funzionari di Pechino hanno attribuito la colpa dell’invasione russa dell’Ucraina all’allargamento della Nato.

Secondo i veterani

Colpito dalle somiglianze con il passato, Thomas Pickering, 91 anni, già negoziatore statunitense per il controllo degli armamenti sotto l’amministrazione Kennedy e ambasciatore a Mosca quando Clinton era alla Casa Bianca, nota ostacoli alla pace che presentano dei parallelismi con il presente. Uno riguarda la segretezza che circondava l’esercito sovietico. I militari sviluppavano armi e strategie tenendo all’oscuro i diplomatici, e lo stesso succede oggi in Cina: l’avvistamento del pallone spia sopra il Montana ha preso di sorpresa i funzionari cinesi di stanza a Washington.

Per Pickering i due paesi possono imparare dal passato. Ricorda le crisi scatenate dalla scoperta di nuove tecnologie, come la difesa anti-missile, che destabilizzò la deterrenza. In alcuni casi le tensioni si risolsero con patti per la non proliferazione degli armamenti o con accordi per il rafforzamento della fiducia. Statunitensi e sovietici installavano linee telefoniche di emergenza. A volte inviavano gli ufficiali a osservare le esercitazioni dei nemici o a contare le testate nucleari che avevano: in quei momenti “il terrore superava l’ossessione per la riservatezza”.

Convinto che per gestire le crisi ascoltare sia fondamentale, Pickering loda John F. Kennedy per aver spronato il suo paese a guardare oltre le provocazioni della propaganda sovietica, comprendendo che “anche le preoccupazioni di Mosca potevano essere legittime”. Per fare passi in avanti furono prese decisioni difficili “mentre la paura era altissima”. Oggi, invece, Cina e Stati Uniti sono in trappola: continuano a scambiarsi insulti e minacce perché non hanno ancora conosciuto una crisi davvero terrificante.

Zhang Tuosheng è un ex istruttore dell’accademia militare dell’esercito cinese. Oggi lavora per Grandview, un centro studi di Pechino e condivide con Pickering il timore che i due paesi non sentano abbastanza l’urgenza di prevenire una crisi. Le due potenze sono separate da un abisso d’incomprensione, spiega. Gli Stati Uniti vogliono discutere di come volare e navigare in sicurezza vicino alla Cina e delle regole per l’uso di armi avanzate. La Cina invece accusa gli Stati Uniti di minacciare la sua sicurezza nazionale, penetrando nei suoi territori e rafforzando i legami con Taiwan. Secondo Pechino, Washington crea le crisi e poi chiede che siano gestite in modo più efficace.

Zhao Tong, un esperto di contenimento degli armamenti del centro studi statunitense Carnegie endowment for international peace, sostiene che la Cina sta consapevolmente accettando di correre rischi più alti. Pechino pensa che se gli Stati Uniti, considerati i veri aggressori, temessero davvero una catastrofe sarebbero i primi a cercare di smorzare i toni. In quest’ottica la potenza asiatica crede che intimidire Washington ridurrà i rischi nel lungo periodo.

Chi ricorda la guerra fredda rabbrividisce di fronte a tanta spericolatezza. All’epoca il terrore era un elemento essenziale per il mantenimento della pace. Nella competizione tra Cina e Stati Uniti, a spaventare più di ogni altra cosa è la mancanza di paura. ◆ gim

Da sapere
Dichiarazioni esplicite

◆Il 6 marzo 2023, a margine della sessione parlamentare cinese, il presidente Xi Jinping ha definito le politiche di contenimento promosse dagli Stati Uniti e sostenute dall’occidente “una sfida senza precedenti per lo sviluppo cinese”. Il giorno dopo anche il ministro degli esteri Qin Gang, nella sua prima conferenza stampa, ha rilanciato l’accusa: “Se Washington continuerà su questa strada, finiremo certamente per scontrarci”. Qin ha ribadito che l’ascesa cinese è pacifica ed è un modello per il sud del mondo, precisando che “modernizzazione non significa occidentalizzazione”. E se le soluzioni di Pechino non sono ascoltate, ha detto riferendosi al documento in dodici punti per la pace in Ucraina, presentato il 24 febbraio, è perché “altri monopolizzano la scena”. Xinhua


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Questo articolo è uscito sul numero 1502 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati