C’è un angolo della redazione del New York Times diverso da qualsiasi altro posto nell’edificio. Ogni scrivania è ricoperta da pile di libri, bozze e manoscritti rilegati. Sul pavimento sono allineate scatole piene di pagine in attesa di essere sfogliate. Scaffali scorrevoli sono gelosamente custoditi di giorno e chiusi a chiave di notte. E poi certo, nell’angolo della redazione dove si fa la Book Review, il supplemento settimanale sui libri del quotidiano newyorchese, c’è sempre un cassonetto pieno di carta pronta per essere riciclata. Da mesi però quell’angolo non viene toccato. Gli scaffali sono quasi vuoti e restano chiusi. Come la maggioranza dei giornalisti del New York Times, i redattori della Book Review hanno lavorato da casa durante la pandemia di coronavirus. Il passaggio al lavoro da remoto ha presentato una difficoltà piuttosto prevedibile: l’accesso ai libri veri e propri è limitato.
Un punto d’orgoglio
Prima del coronavirus, alla Book Review arrivavano centinaia di libri e bozze non definitive via posta. Erano tutti registrati in un database e suddivisi tra contenitori e scaffali per i redattori, che poi li esaminavano con attenzione per decidere se meritavano una recensione o una segnalazione di qualche tipo. Generi specifici venivano messi da parte per i giornalisti titolari di una rubrica, come nel caso dei romanzi polizieschi, destinati a Marilyn Stasio. Il resto finiva in un grande cassonetto blu.
Che fosse stato inviato da una delle cinque grandi case editrici statunitensi (Hachette, HarperCollins, Macmillan, Penguin Random House e Simon & Schuster) o da un piccolo editore, ogni libro o bozza era materialmente visionato da almeno un giornalista.
Questo è un punto d’orgoglio per la sezione. “Non aveva importanza la casa editrice da cui proveniva la bozza preliminare di un libro, se era voluminosa o piccola, se l’autore era conosciuto o no, ogni testo riceveva un trattamento equo”, dice Tina Jordan, vicedirettrice della Book Review.
A marzo il New York Times ha chiuso i suoi uffici alla maggior parte dei dipendenti. Ora i redattori lavorano da casa e non possono usufruire degli spunti che offre la disposizione materiale negli spazi della redazione.
“Nella prima settimana in cui abbiamo lasciato l’ufficio sulle scrivanie sono arrivati 167 pacchi di libri che nessuno ha aperto né visionato”, racconta Pamela Paul, direttrice della Book Review.
Non potendo accedere agli scaffali, alle scrivanie e ai contenitori traboccanti di libri e bozze, i redattori che visionano i testi in anteprima ora li scaricano da una serie di piattaforme online messe a disposizione di chi lavora nel settore.
“Passiamo in rassegna i cataloghi delle case editrici, leggiamo le nostre email e scorriamo le notizie per cercare di creare una lista che replichi quello scaffale fisico”, afferma Jordan.
Si dice che non bisogna giudicare i libri dalle copertine, ma in realtà i redattori possono capire molte cose da un volume stampato. Quasi sempre i libri sono accompagnati da altri materiali che forniscono molte informazioni e attraverso la copertina, che sia definitiva o temporanea, gli editori sono in grado di veicolare un messaggio forte. Fascette con citazioni di altri scrittori o di personaggi famosi aiutano a collocare il libro in un contesto culturale più ampio.
Nuove abitudini
Oggi tutti questi materiali vengono inviati in file digitali singoli e immaginare tutto l’insieme non è facile.
“Mi piacevano le copie cartacee perché potevo sottolineare le cose, fare le orecchie alle pagine e metterci dentro dei post-it”, dice Jordan. “Detto sinceramente: sarò felicissima di tornare in ufficio”.
Con un database digitale ogni libro è solo una cella in un foglio di calcolo. Sembra tutto uguale.
◆ “Giovedì 3 settembre 2020 saranno pubblicati quasi seicento nuovi libri”, scrive Alex Clark su The Observer, “circa un terzo in più di quelli usciti nel Regno Unito l’anno scorso nello stesso momento. Una valanga di parole che nessun rivenditore o mezzo d’informazione poteva immaginare di accogliere”. È improbabile che libri attesi come quelli di Martin Amis, Robert Harris, David Attenborough, Elena Ferrante, Caitlin Moran e Nick Hornby si perdano nella marea. Ma lo spazio sugli scaffali delle librerie britanniche (anche di quelle gigantesche come Waterstones a Piccadilly) non è infinito e qualcuno ne soffrirà le conseguenze: “Non è stato il covid-19 a creare un’arena in cui gli scrittori che rapprensentano le minoranze, la classe operaia o chi convive con disabilità faticano a ottenere la giusta attenzione”, conclude Clark, “ma sarebbe un tradimento della missione stessa dell’editoria se quest’arena si rivelasse più angusta”. Anche in Francia la rentrée litteraire, la stagione delle nuove uscite, sarà particolare. Raphaëlle Leyris su **Le Monde **parla di pericoli e speranze: “Pericolo perché, dopo le perdite registrate in due mesi di confinamento (librerie chiuse, pubblicazioni sospese) e nel contesto di una crisi sanitaria ed economica senza precedenti, un eventuale insuccesso sarebbe disastroso per le case editrici, indipendentemente dalla loro grandezza. Speranza perché dalla fine del lockdown i francesi sono tornati in libreria, e in quantità impressionante: tra l’11 maggio e il 19 luglio le vendite dei libri sono aumentate del 19,6 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019”. Entro la fine di ottobre usciranno altri 511 romanzi, alcuni dei quali, come quelli di Camille Laurens e Mathias Énard, erano previsti per la primavera. Tra i tanti autori ci sono Emmanuel Carrère, Jean Rolin, Jean-Philippe Toussaint, Lola Lafon, Philippe Claudel, Yasmina Khadra e Alain Mabanckou. E questi sono solo quelli in francese.
“C’è il costante timore che le cose possano sfuggirci in un modo che non sarebbe possibile se avessimo un archivio materiale”, spiega Paul.
I redattori continuano a fare di tutto per assicurarsi che se un libro meno conosciuto merita una recensione riceva la dovuta attenzione. Dopotutto accendere un faro su uno scrittore o un libro sconosciuto è la parte più bella del lavoro per la maggior parte dei redattori che possono leggere i libri in anteprima. “La sensazione di aver reso un vero servizio quando porti alla ribalta un libro che altrimenti non avrebbe avuto alcuna attenzione è molto gratificante”, ammette Lauren Christensen, redattrice della sezione. “È per questo che esiste la Book Review”.
La possibilità di tornare a lavorare in redazione sembra ancora lontana e non tutti hanno una casa adatta a fare questo tipo di lavoro. Ma Christensen ha scoperto che la sua particolare versione di lavoro a distanza è estremamente produttiva: “Me ne sto qui con i miei libri e passo il tempo a leggere”. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1372 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati