“Gli arabi stanno alzando la testa. Si stanno prendendo delle libertà”, si lamentava Efrat Raz, un’abitante dell’insediamento abusivo e illegale di Kida, in Cisgiordania, rivolgendosi al primo ministro israeliano Naftali Bennett. Dato che è stato ucciso durante l’operazione, sappiamo che suo marito Noam Raz faceva parte dell’unità antiterrorismo Yamam della polizia che il 13 maggio ha fatto un’incursione a Jenin, in Cisgiordania, e ha bombardato una casa mentre i suoi abitanti palestinesi, compresi undici bambini, dormivano all’interno. Gli uomini armati dell’unità hanno anche usato un uomo e sua figlia come scudi umani.

Quanti sono gli abitanti degli insediamenti illegali e degli avamposti abusivi che con entusiasmo, dedizione e allegria prestano servizio in unità che terrorizzano i bambini palestinesi e suscitano in loro dei traumi e una collera che dureranno per tutta la vita? Quante delle loro mogli – ed è ragionevole supporre anche loro stessi – pensano che “gli arabi stanno alzando la testa”? Quanti degli estremisti ebrei che hanno indossato le camicie bianche alla marcia degli orrori del 29 maggio a Gerusalemme sognano di lavorare nella squadra antiterrorismo?

Da cinquant’anni la corrente messianico-nazionalista è stata uno strumento nelle mani dei governi laici israeliani, che hanno lavorato per far avanzare il progetto sionista

Sarebbe importante saperlo se fossero questi estremisti a definire la politica in base alla quale l’esercito e le unità speciali hanno il compito di proteggere e consolidare l’opera di colonizzazione. Ma è vero il contrario: da più di cinquant’anni la corrente messianico-nazionalista è stata un comodo strumento nelle mani dei governi israeliani laici, che hanno lavorato per far avanzare il progetto sionista mentre si accaparravano quello che restava delle terre palestinesi, conquistate nel 1967.

Le camicie bianche – fin dai festeggiamenti in occasione di alcuni avvenimenti come il massacro dei fedeli palestinesi compiuto dall’estremista Baruch Goldstein a Hebron nel 1994 – non avrebbero prosperato se non avessero servito così bene gli obiettivi di tutti i governi sionisti e se non fossero rientrati nei loro piani. Se non fosse stato per politici (esponenti dell’Internazionale socialista!) come Shimon Peres e Yigal Allon che li hanno incoraggiati, e che già dalle prime fasi progettarono la disintegrazione della Cis­giordania come spazio palestinese; se le forze armate israeliane non avessero demolito tre villaggi palestinesi a Latrun, espellendo i suoi abitanti, al tempo di Levi Eshkol e Moshe Dayan (rispettivamente premier e ministro della difesa durante la guerra del 1967); se la polizia non avesse ignorato per decenni la violenza delle sue “mele marce”; se l’esercito non avesse confiscato vaste aree della Cisgiordania per presunti scopi militari passandole ai coloni; se economisti, architetti e avvocati israeliani non avessero impedito lo sviluppo palestinese, prima e dopo gli accordi di Oslo.

Il problema è che gli strumenti, come il Golem di Praga o quello di Walt Disney, tendono ad alzare la testa. Lo abbiamo visto il 29 maggio durante la terrificante danza delle bandiere a Gerusalemme. Oggi sono 50mila le persone che hanno marciato nel cuore della Gerusalemme palestinese. Ieri hanno marciato a Hebron e lì hanno realizzato la visione di una città svuotata dei palestinesi. Domani saranno centomila.

Anche i violenti avamposti creati dagli allevatori israeliani in Cisgiordania sono un marchio registrato di questa sacra estetica bianca. Come ha confermato il loro sostenitore Zeev Hever del movimento colonizzatore Amana, questi avamposti hanno occupato una quantità di terra palestinese due volte più grande dell’area rubata dagli insediamenti veri e propri. Quanta riusciranno a rubarne domani? Un territorio otto volte più grande, o solo sette volte? Oggi sono in 2.600 gli ebrei devoti e danzanti che sono saliti sulla Spianata delle moschee/Monte del tempio, a Gerusalemme. Sono riusciti a sottrarre quasi completamente la moschea di Abramo/Tomba dei patriarchi, a Hebron, ai visitatori palestinesi. Domani saranno settemila. Quanti di loro firmeranno una petizione per costruire il Terzo tempio sui luoghi santi dell’islam a Gerusalemme? E quando avranno una maggioranza democratica nella knesset, il parlamento israeliano?

Non sembra esistere oggi nel mondo un adulto responsabile che dica apertamente: “Al diavolo, questa mutazione ebraica che si sta sviluppando lì in Medio Oriente – in altre parole, lo stato di Israele – è andata fuori di testa. Ha dato di matto, ha perso la ragione, è impazzita. A causa della sua potenza militare, nucleare e tecnologica, combinata con il fervore religioso, a causa della sua alleanza con gli Stati Uniti, questo deve preoccuparci. Molto”. Nel nostro mondo cinico, è ingiustificato aspettarsi che a un certo punto possa comparire un organismo internazionale, che quell’adulto responsabile possa alzarsi in piedi e agire per fermare questo processo, alla cui creazione i cittadini ebrei di Israele hanno partecipato a pieno titolo. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1464 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati