Nablus è sotto shock, ancora una volta. Il pomeriggio del 22 febbraio la città della Cisgiordania settentrionale ha seppellito undici dei suoi figli, mentre altri cento sono stati feriti, più della metà dei quali da colpi di arma da fuoco.

Ci vorranno lunghe indagini per ottenere il quadro completo dell’incursione militare israeliana a Nablus, in pieno giorno e con le strade colme di persone. Fino a quando non ci saranno, se ci saranno, quello che ricorderemo sono gli annunci della polizia e dell’esercito secondo cui c’erano “spari in massa” da parte palestinese e “scambi di colpi”. Riecheggeranno le dichiarazioni delle autorità su come “alti comandanti di questa o quella organizzazione sono stati uccisi” e “si sta esaminando la possibilità che le vittime siano state causate dai terroristi”.

La giustificazione standard secondo cui i morti avevano “pianificato attacchi armati” è sufficiente a impedire alla maggior parte degli israeliani di chiedersi quale fosse la necessità di queste incursioni. Dopo tutto, gli israeliani credono che le agenzie di intelligence sappiano tutto. Quello che non sanno è quali giovani palestinesi disperati, arrabbiati e non organizzati stiano pianificando una vendetta. Sanno solo che esistono.

Quadro distorto

Come al solito, il rapporto ufficiale israeliano tralascia molti dettagli e crea un quadro distorto fatto di forze militari alla pari, “combattimenti” e uno “scambio di fuoco” quasi simmetrico. In realtà, questi raid coinvolgono un’enorme forza militare israeliana. I soldati si nascondono come cecchini o aspettano all’interno dei loro veicoli protetti. Gli uomini armati palestinesi, invece, non hanno tempo neanche per esercitarsi a sparare. Questa generazione TikTok non è brava ad agire in clandestinità; sembra che non abbia molta familiarità con le tattiche di guerriglia.

I palestinesi hanno riferito che l’esercito israeliano ha impedito alle ambulanze e alle squadre di soccorso di raggiungere il luogo degli scontri a Nablus, sparando proiettili o gas lacrimogeni anche verso i giornalisti. Gli spari di avvertimento contro le squadre di soccorso non sono una novità. Durante il raid nel campo profughi di Jenin il mese scorso, l’esercito ha avvertito in anticipo la Mezzaluna rossa – attraverso il comitato di coordinamento della sicurezza palestinese –che non avrebbe permesso alle ambulanze di avvicinarsi.

Non sappiamo ancora se un avvertimento simile sia stato ripetuto a Nablus. L’affermazione dell’esercito di aver chiesto solo di coordinare il movimento delle ambulanze ricorda la situazione di varie guerre nella Striscia di Gaza. Il coordinamento richiede tanto tempo che i feriti possono morire. È questo il significato delle istruzioni ai palestinesi e degli spari contro le ambulanze senza preavviso? Che l’esercito considera ogni incursione come una situazione di guerra?

Secondo quanto riferito dai palestinesi, il 22 febbraio l’esercito ha usato i droni. Impiegati per monitorare o sparare gas lacrimogeni, i droni sono diventati parte della realtà quotidiana in Cisgiordania, non solo nella Striscia di Gaza. Durante ogni raid, quindi, i palestinesi temono non solo i soldati invisibili, ma anche i proiettili degli oggetti volanti.

Causare scompiglio

Le incursioni israeliane nelle città, nei paesi e nei campi profughi palestinesi sono una routine. Secondo lo schema abituale, le forze speciali, per lo più della polizia, s’infiltrano sotto copertura. Il 22 febbraio sono stati usati almeno due camion, camuffati in modo da sembrare di un’azienda alimentare palestinese. Come al solito, sono stati riempiti di poliziotti in borghese, che sono arrivati nella parte orientale della città vecchia. Poi si sono riversate nelle strade le odiatissime jeep blindate, contro le quali i giovani hanno scagliato pietre e altri oggetti. Anche l’uso di veicoli che sembrano appartenere a civili palestinesi non è una tattica nuova dell’esercito e della polizia, e non smette di suscitare rabbia. Le persone dubitano dell’identità dei conducenti di veicoli simili e s’interrogano sul modo in cui i camion palestinesi sono finiti alla polizia israeliana. Sanno che in qualsiasi momento l’esercito può interrompere la loro routine, un altro esempio della sfrenata arroganza della forza d’occupazione e della sua capacità di umiliare e causare scompiglio.

Questa volta sono cambiati i tempi. Di solito le incursioni per compiere arresti di palestinesi armati, o uccisioni pianificate, avvengono di notte o al mattino presto. È vero che il raid del 26 gennaio nel campo profughi di Jenin è cominciato intorno alle 7 del mattino. L’orario ha sorpreso gli abitanti, ma era abbastanza presto perché i civili rimanessero al riparo mentre l’esercito circondava una casa.

A Nablus, invece, le persone si sono rese conto che era in corso un attacco militare alle 9.30 circa, e non in un luogo sperduto, ma vicino all’affollato centro commerciale. Questi fatti non possono essere sfuggiti ai comandanti che hanno ordinato l’azione. Siamo ora testimoni di un nuovo modello: decine di migliaia di persone provocate in pieno giorno?

In un comunicato, il gruppo armato palestinese Fossa dei leoni ha affermato che sei degli undici morti erano suoi affiliati o della Jihad islamica. Ha anche espresso le condoglianze alle famiglie dei quattro civili uccisi, tra cui un uomo di 72 anni e uno di 61, mentre un altro di 66 anni è morto successivamente per le ferite.

I palestinesi, che hanno annunciato ancora una volta una giornata di lutto, descrivono l’incursione israeliana come un massacro, al pari di quello di Jenin, in cui sono stati uccisi dieci palestinesi. La definizione “massacro” è accurata se implica che l’esercito, quando vuole, sa arrestare le persone senza ucciderle né colpire civili disarmati e sconvolgere un’intera città. Allo stesso tempo, la definizione offusca un fatto importante: aumentano i giovani palestinesi disposti a farsi uccidere in una battaglia impossibile contro i soldati invisibili che invadono la loro città. Molti rifiutano di lasciare gli edifici assediati, pur sapendo che saranno bombardati e crolleranno sopra di loro. L’opinione pubblica li considera eroi coraggiosi, perché rinunciano alla loro vita e inviano un messaggio collettivo: gli invasori non sono graditi e la morte è preferibile all’ergastolo o all’accettazione e alla resa all’occupante.

C’è un legame tra le sanguinose incursioni degli ultimi mesi a Jenin, Gerico e Nablus e il tentativo del governo di Benjamin Netanyahu di rovesciare il sistema giudiziario israeliano? C’è un legame tra il raid a Nablus e l’indebolimento dello shekel (la moneta israeliana) a causa del colpo di stato del governo, determinato ad andare avanti con la riforma della giustizia? È possibile che chi ha dato l’ordine all’esercito e alla polizia il 22 febbraio non sappia che causare un gran numero di morti palestinesi ci avvicina ancora di più a un altro spargimento di sangue?

Neanche queste domande trovano risposta nei comunicati stampa dell’eser­cito. ◆ dl

Amira Hass è una giornalista israeliana che vive a Ramallah, in Cisgiordania.

Da sapere
Da Nablus a Hawara

22 febbraio 2023 L’esercito israeliano lancia un’incursione a Nablus, nel nord della Cis­giordania, in cui muoiono undici palestinesi e ne restano feriti più di cento. I militari giustificano l’intervento, il più sanguinoso dal 2005, presentandolo come un’operazione “antiterroristica”.

26 febbraio Il governo israeliano e l’Autorità nazionale palestinese (Anp) organizzano dei colloqui in Giordania per la prima volta da anni, a cui partecipano anche funzionari statunitensi ed egiziani. In un comunicato congiunto pubblicato dopo la riunione, le due parti s’impegnano a prevenire nuove violenze e a “lavorare verso una pace giusta e duratura”. Lo stesso giorno un palestinese uccide due coloni israeliani di 22 e 20 anni, i fratelli Hillel e Yagal Yaniv, mentre si trovano nella loro auto nella cittadina di Hawara, vicino a Nablus. Qualche ora dopo centinaia di coloni israeliani fanno incursione nella città, lanciano pietre contro le abitazioni palestinesi e incendiano edifici, cassonetti dell’immondizia e auto. È il più grave episodio di violenza dei coloni in decenni, definito da vari osservatori “un pogrom”. Sameh Hamdallah Aktash, di 37 anni, è morto e altre cento persone sono state ferite.

27 febbraio Elan Ganeles, un israeliano statunitense di 26 anni, è ucciso in un presunto attacco palestinese mentre è nella sua auto su una strada vicino alla città di Gerico. Al Jazeera


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Questo articolo è uscito sul numero 1501 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati