Ho provato a mettere Illusion, l’ultimo disco di Edda, in uno scantinato in cui stavo giocando a biliardino con dei musicisti che non conoscono l’italiano, e ho visto come si sono appiccicati alla sua voce: m’incanta quando il corpo asseconda una melodia che pare arrivare da una sorgente lontanissima e non viene mediata da tutte le informazioni che abbiamo a disposizione su quell’artista. Edda arriva così: storto, sublime e inaspettato come quelle chiese del centro Italia piene di affreschi scomunicati ma amati dalla tradizione popolare.

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Eppure avrei voluto tradurre ogni parola di Alibaba e spiegare perché questi versi “Fai di me ciò che non vuoi /mi innamorerò … il muro si è sporcato / gelato al cioccolato oh che meraviglia / il maglioncino di ciniglia” sembrano davvero pazzi e liberi a un’ex ragazzina degli anni novanta che al maglioncino di ciniglia associa uno scazzo e un anelito erotico senza sfogo. Invece Edda crea uno squarcio di euforia quando richiama il melodramma pastellato della canzonetta anni sessanta – il modo in cui pronuncia “io me ne andrò, dalla mamma piangerò” fa pensare alla crisi esistenziale che Gianni Morandi ci ha sempre nascosto – e quel Gelato al cioccolato altissimo e volgare di Cristiano Malgioglio. Come si fa a dire tutte queste cose senza suonare incoerente?

Una recensione di Illusion dovrebbe essere lunga centomila parole per rendere giustizia ai suoi strati poetici, oppure esaurirsi in un solo concetto, e cioè che della parola capolavoro non ce ne facciamo più niente, perché questo è un mezzo miracolo. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1481 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati