Ho letto su una parete giallina: le case dei ricchi non si allagano. Non so se alla lettera è vero, certo nella metafora è verissimo. I ricchi hanno i mezzi per starsene sempre e comunque all’asciutto. E se qualcosa li infastidisce, non è il bagnato ma le chiacchiere inutili sui mutamenti climatici. Tante storie, dicono, per un po’ d’acqua, è andata sempre così, siccità, grandi piogge, qualche morto. Basta lagne, dunque, racimoliamo soldi per i sinistrati e via. Temono, i veramente ricchi, più che l’onda di piena, l’alluvione di fantasie apocalittiche. Quella sì che è una terribile minaccia. Per chi? Per loro. Guai, infatti, se ci si mette in testa che, per salvarsi, bisogna fermare la macchina che rende sempre più ricchi i ricchi, sempre più poveri i poveri, sempre più desolato il pianeta. E zitti dunque sul diluvio universale, preoccupiamoci di far funzionare alla grande l’ingranaggio del profitto. Un diluvio ce l’abbiamo già avuto quando per troppa onestà il signore iddio dovette ammettere di non aver lavorato affatto bene. Persino l’Eden non funzionava, il serpente gli era venuto malissimo, dalla costola dell’uomo aveva tratto un’uoma disobbediente, il fratello ammazzava il fratello, violenza e dolore si sprecavano. Sicché decise di allagare tutto. Ma su, già allora ce la cavammo. Un vero ricco che ci mette a imbarcarsi sulla più asciutta delle arche?

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Questo articolo è uscito sul numero 1514 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati