Sì, questa è Beirut! Città distrutta, assassinata, in cui il sangue si spande ovunque, come i frammenti di vetro che lacerano gli occhi.
Città lastricata dal vetro che si ammassa nelle strade, al pari degli occhi strappati. Per vedere occorre camminare sugli occhi e, appena si comincia a vedere, si diventa ciechi.
Alzate gli occhi, amici miei, guardate la vostra città nello specchio di queste macerie, smettete di scrutare il suo passato imperfetto!
Città dell’accecamento, a causa del vetro, del nitrato d’ammonio, dell’esplosione che ha trascinato via le persone e ha aperto in due il mare.
No, non è Beirut!
Da 45 anni non smettiamo di dirci che questa non è Beirut. Abbiamo perso Beirut a forza di cercare nel suo passato.
“La città che non è”. È così che rievochiamo la nostra città. Dall’inizio della guerra civile e delle distruzioni, non abbiamo smesso di riferirci al passato della città. E il 4 agosto, crollando a terra davanti al mostro che è esploso all’improvviso nel porto, ci siamo resi conto che la distruzione era proprio la nostra città stessa, che queste case sventrate e senza pareti erano le nostre case, che quei lamenti erano i nostri.
Sì, questa è Beirut!
Alzate gli occhi, amici miei, guardate la vostra città nello specchio di queste macerie, smettete di scrutare il suo passato imperfetto! Non restatevene lì attoniti, perché la deflagrazione che ha ridotto la vostra città in rovine non è una coincidenza né un incidente. È la vostra verità, quella che avete a lungo cercato di camuffare.
Una città abbandonata ai banditi, saccheggiata dall’egemonia degli imbecilli, lacerata dai signori della guerra al soldo delle potenze straniere. Una città esplosa dopo una lunga agonia.
Non chiedete alla vostra città chi l’ha uccisa: sono stati i suoi governanti. Beirut ne è cosciente, e voi tutti lo sapete bene.
I suoi assassini sono gli stessi che hanno voluto mettere fine alla rivolta del 17 ottobre formando un governo di fantocci tecnocrati, mentre sguinzagliavano nelle piazze i cani della repressione.
I suoi assassini sono i mafiosi dei partiti comunitari, che hanno fatto man bassa del paese, quelli che hanno proclamato la fine della guerra civile convertendo lo spettro della guerra in regime politico.
I suoi assassini sono quelli che hanno eletto Michel Aoun presidente della repubblica, trasformando in una farsa il disastro creato dall’oligarchia.
Tempo scaduto
Beirut, la vostra città, la nostra città, muore. È esplosa, la carne dei suoi figli si è dispersa ovunque. Sei anni fa 2.750 tonnellate di nitrato d’ammonio sono state intercettate e accumulate in un deposito del porto! Che orribile imprudenza! Che stupidità!
In passato i signori della guerra civile avevano fatto interrare i rifiuti chimici nelle nostre montagne, e oggi constatiamo che la sfrontatezza di quei signori – diventati mafia nell’epoca della cosiddetta pace civile – ha permesso di colpire Beirut con qualcosa di simile a una bomba atomica. Si sono seduti sui loro troni, sui cadaveri dei nostri morti, sulla nostra povertà, sulla nostra fame.
Iene! I nostri resti non vi hanno saziato? Ma andatevene, finalmente! È tempo che usciate di scena! Lasciateci al nostro paese, che avete fatto precipitare nel baratro. Andatevene nelle isole dei Caraibi, dove avete ammassato le fortune rubate al popolo, là dove sognate di vivere nel lusso e nell’opulenza!
Non sarete mai sazi? L’ora della vostra fine è suonata. La nostra morte, i nostri cuori torturati sono le armi con cui sfideremo questi tempi di oscurità e di umiliazione. Vi affronteremo con i nostri cadaveri bruciati e con i nostri volti lacerati. Sarete inghiottiti con noi nel magma di questo cataclisma. Ascoltate bene! Beirut è esplosa per decretare la vostra fine, non la nostra!
Beirut non vive nel suo passato, Beirut vive nel suo presente. Sanguina, ma conserva la sua dignità.
Vogliamo una cosa sola: che vi togliate di mezzo. Andatevene! Andate all’inferno, partite con tutti quei banchieri che hanno scommesso in borsa sulla nostra morte. Lasciateci tamponare le ferite di Beirut, lasciateci consolare la nostra città, dirle che tornerà, povera ma radiosa, esausta ma capace di risorgere, mutilata ma capace di abbracciarci e di asciugare le nostre lacrime.
È finito il tempo delle carogne che hanno giocato con i nostri destini. Non vogliamo il petrolio dei vostri padroni, non ci fidiamo della politica dei vostri mullah, che si dice inflessibile, e non sappiamo che farcene di tutte le vostre comunità.
Prendetevi tutte le vostre sette e levatevi di torno! Lasciateci in pace!
E voi, magnifici giovani dell’insurrezione del 17 ottobre, sappiate che l’ora della rivoluzione generale è finalmente scoccata.
Rivoltatevi, per vendicare Beirut!
Rivoltatevi per costruire una patria con queste rovine!
Rivoltatevi per ridisegnare Beirut con il sangue dei suoi figli! ◆ _ff _
Elias Khoury _ è uno scrittore libanese e uno dei più importanti autori in lingua araba. L’ultimo libro pubblicato in Italia è Specchi rotti _ (Feltrinelli 2014).
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Questo articolo è uscito sul numero 1372 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati