Una delle questioni economiche oggi più urgenti è capire quant’è grave il caos esploso nel settore bancario con il fallimento di due istituti a marzo. I prestiti d’emergenza della Federal reserve (Fed, la banca centrale degli Stati Uniti) sembrano aver contenuto i danni. Ma c’è anche un’altra questione: le difficoltà si estenderanno oltre il settore bancario? Il crollo della Silicon Valley Bank (Svb), l’evento che ha dato il via a questo periodo d’instabilità, è il sintomo di un malessere più esteso del sistema finanziario.

Il problema di fondo dell’Svb era la grande quantità di titoli di stato in suo possesso finanziata da depositi instabili. Con il rialzo dei tassi d’interesse cominciato nel 2022, il valore di quei titoli è diminuito, mentre i depositi sono diventati più costosi e modesti. Molte banche si trovano nella stessa situazione, ma questa è solo la punta di un iceberg del debito. Secondo la Fed, dalla fine del 2009 i titoli di debito posseduti da governi, aziende e famiglie sono aumentati del 90 per cento, arrivando a 68mila miliardi di dollari. Ora valgono molto meno rispetto a quando sono stati erogati, e qualcuno dovrà farsi carico di quelle perdite. “Da qualche parte nel sistema questa cosa verrà fuori”, dice Hyun Song Shin, responsabile della ricerca per la Banca dei regolamenti internazionali, un consorzio di banche centrali con sede in Svizzera.

Gli istituti di credito possiedono titoli di debito più visibili, ma i fondi pensione, i fondi comuni, i fondi di credito privato, le assicurazioni sulla vita, i fondi speculativi e altri soggetti diversi dalle banche – il complesso di aziende finanziarie definite banche ombra – hanno concesso una quantità di prestiti simile. “I rischi sono gli stessi. Io non mi concentrerei solo sugli istituti di credito”, aggiunge Shin.

La crisi finanziaria del 2008 ebbe origine proprio dalle banche ombra, che raccoglievano fondi attraverso debiti a breve termine e li investivano in titoli garantiti da mutui ipotecari. Le autorità di vigilanza erano convinte che anche la crisi successiva sarebbe partita da lì, in parte perché oggi le banche sono sottoposte a regole più rigide. Per questo, quando a marzo è emerso che l’anello debole sono proprio gli istituti di credito, la cosa le ha colte di sorpresa. Vuol dire che le banche ombra sono meno rischiose? O forse è solo che lì i problemi non sono ancora emersi?

All’estero le banche ombra hanno già dei problemi, ha sottolineato il Fondo monetario internazionale (Fmi) in un recente rapporto. Nel settembre 2022 i timori sul bilancio pubblico britannico hanno fatto schizzare alle stelle i rendimenti dei titoli di stato del Regno Unito, i gilt, infliggendo perdite ai fondi pensione che li usano come garanzia per ottenere liquidità. A ottobre alcune aziende finanziarie sudcoreane sono risultate insolventi su titoli emessi per finanziare progetti immobiliari.

Ad alto rendimento

Negli Stati Uniti non si è ancora visto niente di simile. Le banche ombra però sono cresciute dopo il 2008, in particolare quelle che emettono crediti privati. Dall’inizio del 2008 questo settore è cresciuto di quasi sei volte, arrivando, secondo l’Fmi, a 1.500 miliardi di dollari, un valore superiore a quello del mercato delle obbligazioni ad alto rendimento o dei leveraged loan, forme di finanziamento ad alto rischio. Con un ammontare complessivo di 4.400 miliardi di dollari, questi tre mercati valgono più di tutti i prestiti commerciali e industriali delle banche, che si fermano a 2.700 miliardi.

Il credito privato è emesso da fondi come Blackstone, BlackRock, Apollo Global Management, Carlyle Group, Goldman Sachs Asset Management. Queste aziende operano in larga misura con i capitali di investitori che s’impegnano a non ritirarli prima di qualche anno. Così, secondo l’Fmi, “non ci sono i rischi di corsa agli sportelli” che presentano i depositi bancari. I prestiti, inoltre, sono spesso a tasso variabile e quindi si adeguano all’aumento dei tassi d’interesse. I gestori di fondi possono compensare eventuali perdite rendendo più onerosi i nuovi prestiti finanziati dalla riscossione di quelli in scadenza o da capitali che gli investitori sono obbligati a fornire su richiesta, la cosiddetta dry powder, polvere secca.

L’Fmi però parla anche di rischi. Il credito privato spesso si usa per le acquisizioni, finanziate con debiti, di aziende molto esposte ai rallentamenti dell’economia. In questo campo la concorrenza ha generato condizioni di prestito meno severe e “i gestori di accordi di credito privato spesso coprono anche accordi di altri gestori, facendo aumentare i rischi”. Gli investitori che impegnano capitale nei fondi di credito privati, inoltre, lo fanno anche per conto di altri fondi speculativi, generando quel tipo di “interconnessione” che in passato ha amplificato le difficoltà del sistema finanziario.

In sostanza, anche se il credito privato non è soggetto alle corse agli sportelli che a marzo hanno interessato le banche, potrebbe comunque essere costretto a ridimensionare la sua attività, aggravando la stretta creditizia e di conseguenza le difficoltà dell’economia. Secondo PitchBook Data, nel 2022 la raccolta di risorse da parte di fondi di credito privato è crollata del 42 per cento rispetto all’anno precedente.

Meno trasparente

L’analisi dei rischi nel settore delle banche ombra tuttavia è ostacolata, come suggerisce il nome, dalla sua opacità. Il credito privato è meno trasparente di azioni e obbligazioni, controllate dalla Securities and exchange commission (Sec, l’autorità della borsa statunitense), e dei prestiti erogati dalle banche. Le autorità di vigilanza hanno rafforzato la loro capacità di raccogliere informazioni, ma secondo l’Fmi mancano ancora dettagli importanti e spesso non sono aggiornate.

La Sec è preoccupata, e un anno fa ha proposto di rivedere ed estendere il tipo di informazioni che i fondi privati sono tenuti a comunicare. Ad aprile la segretaria del tesoro statunitense Janet Yellen ha proposto di dare agli organismi di vigilanza maggiori poteri sulle aziende non bancarie grandi e complesse.

Le autorità, però, possono fare ben poco per risolvere il problema di fondo: i tassi d’interesse continueranno probabilmente a restare alti a causa di un’inflazione ostinata e l’economia ne uscirà indebolita. Tutto questo non farà che aumentare il numero delle insolvenze. E le tensioni continueranno a filtrare in tutto il sistema finanziario, anche se non con la spettacolarità di un fallimento bancario. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1510 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati