La giunta militare birmana ha esportato legname per più di 37 milioni di dollari in paesi dove, in teoria, non avrebbero potuto farlo a causa delle sanzioni internazionali. Lo riferisce l’associazione ambientalista statunitense Forest trends in un rapporto, pubblicato il 7 marzo, sugli effetti delle misure di ritorsione imposte da diversi paesi dopo il golpe del febbraio 2021.

In seguito al colpo di stato, le potenze occidentali, tra cui Stati Uniti, Unione europea, Regno Unito e Canada, hanno imposto una serie di sanzioni economiche per colpire i principali esponenti della giunta e le imprese controllate dai militari. Queste aziende permettono al regime di ottenere ricavi da settori come l’estrazione mineraria, la silvicoltura, il petrolio e il gas. Tutti diventati essenziali per il paese da quando si è progressivamente isolato dall’occidente.

Tra gli obiettivi delle misure internazionali c’è l’azienda statale Myanma Timber Enterprise (Mte), che ha il controllo esclusivo sulla commercializzazione di legname in Birmania, compresa la vendita all’asta dei tronchi a imprese private che poi li esportano.

Come ha fatto notare il dipartimento del tesoro statunitense annunciando le sanzioni, nell’aprile 2021, l’Mte è una delle “risorse economiche chiave per il regime militare birmano”. Anche se il commercio di legname in quanto tale non è stato vietato, Forest trends spiega che è come se lo fosse, visto che l’Mte è l’unica produttrice di legname autorizzata in Birmania.

Secondo il rapporto di Forest trends, tra febbraio e novembre del 2021 il commercio di legname birmano ha fruttato più di 190 milioni di dollari. Di questi almeno 37 milioni provenivano da paesi dove sono in vigore sanzioni contro l’Mte (22 milioni dagli stati dell’Unione europea). Altri 154 milioni provenivano da paesi vicini che non hanno imposto misure punitive contro la Birmania, come Cina, India e Thailandia.

Il rapporto conclude che imporre sanzioni economiche è molto più semplice che farle rispettare. A gennaio l’associazione Justice for Myanmar (Jfm) ha pubblicato un documento sulle importazioni di teak birmano, usato soprattutto per fabbricare yacht di lusso, fatte da aziende statunitensi dopo il golpe. Si parla di 1.600 tonnellate di materiale, in apparente violazione delle sanzioni decise da Washington.

L’applicazione delle sanzioni è anche una questione di volontà politica, sottolinea Forest trends, e le misure esistenti, in particolare quelle decise dagli Stati Uniti, espongono le aziende e gli enti che importano legname dalla Birmania al rischio di condanne civili e penali. Inoltre anche i soggetti di paesi che non hanno imposto sanzioni potrebbero essere ritenuti responsabili: “Dato che tutti i pagamenti all’Mte sono in dollari statunitensi, violano le sanzioni, anche se non avvengono all’interno degli Stati Uniti”.

L’organizzazione ambientalista consiglia ai paesi sanzionatori d’intensificare il loro sforzi per bloccare le finanze della giunta birmana. In particolare raccomanda di colpire la Myanma Foreign Trade Bank (Mftb), che fa da intermediaria per gran parte del commercio birmano indicizzato in dollari. Dato che tutti i pagamenti all’Mte per il legname esportato sono fatti attraverso l’Mftb, bandirla “ridurrebbe significativamente l’accesso della giunta alla valuta estera”.

Si può fare di più

Come per tutte le sanzioni economiche, su tutto questo resta un grande punto interrogativo che riguarda il loro effetto politico, soprattutto se si considera la lunga storia dell’esercito birmano nel resistere a questo tipo di pressioni internazionali. Non è nemmeno chiaro se i funzionari statunitensi vogliano davvero individuare e punire tutte le imprese straniere che importano legname dalla Birmania, visto il crescente malcontento per l’uso unilaterale che Washington fa della sua posizione nel sistema finanziario globale. Tuttavia il rapporto di Forest trends chiarisce che, se i paesi occidentali volessero davvero ridurre le entrate estere delle forze armate birmane, potrebbero fare molto di più. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1451 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati