Joe Biden ha usato il suo ultimo discorso da presidente degli Stati Uniti per lanciare un avvertimento contro l’ascesa pericolosa di una nuova “oligarchia tecno-industriale” che minaccia la democrazia americana. Un riferimento al potere che Elon Musk e altri imprenditori del settore tecnologico potrebbero avere nell’amministrazione Trump. Secondo Biden la concentrazione estrema della ricchezza e del potere rischia di mettere in pericolo “i nostri diritti fondamentali, le nostre libertà e la possibilità per ciascuno di vivere in modo dignitoso”.

Non ha torto. Il problema è che durante il suo mandato non ha fatto molto per opporsi alle tendenze oligarchiche nel suo paese e nel resto del mondo. Negli anni trenta il presidente Franklin Delano Roosevelt aveva preoccupazioni simili, ma non si accontentò di fare dei discorsi. Su sua iniziativa i democratici lanciarono una politica aggressiva per ridurre le disuguaglianze sociali (che comprendeva tasse fino al 70-80 per cento sui redditi più alti, una misura in vigore per un quarto di secolo) e aumentarono gli investimenti nelle infrastrutture pubbliche, nella sanità e nell’istruzione. Negli anni ottanta il repubblicano Ronald Reagan, sfruttando abilmente il nazionalismo e la sensazione di un benessere diffuso, mise fine al new deal dell’epoca di Roosevelt. Da allora i democratici, invece di continuare a lottare contro le disuguaglianze, hanno legittimato la svolta conservatrice, soprattutto durante le amministrazioni di Bill Clinton (1993-2001) e di Barack Obama (2009-2017).

Il grande piano del presidente Joe Biden per rilanciare l’economia, chiamato Inflation reduction act, si è ridotto sostanzialmente a sovvenzionare le†aziende private

Biden viene descritto come un presidente più interventista dei suoi precedessori, almeno in campo economico. In parte è vero, ma bisogna considerare che il suo grande piano di rilancio, chiamato Inflation reduction act, si limita sostanzialmente a sovvenzionare il settore privato. Nessuno dubita che l’amministrazione Trump spingerà all’estremo l’alleanza senza ritegno tra stato federale e interessi privati.

È possibile che i democratici cambino orientamento? Visto il peso dei capitali privati nella politica statunitense non dovremmo farci illusioni. Allo stesso tempo può darsi che il partito vada nella direzione giusta, perché la ricetta trumpiana, che fonde nazionalismo e ultraliberismo, non risolverà nessuno dei problemi sociali della nostra epoca, e perché l’ostilità nei confronti dell’oligarchia continua a essere parte integrante dell’identità statunitense.Nel 2020 i senatori progressisti Bernie Sanders ed Elizabeth Warren proponevano politiche simili a quelle del new deal di Roosevelt, con una grande tassa patrimoniale extra sui redditi più alti (fino all’8 per cento all’anno per i miliardari, un livello mai raggiunto in Europa), un grande piano d’investimenti nelle università e nelle infrastrutture pubbliche e la creazione di una vera democrazia economica all’americana (con il diritto di voto per i dipendenti nei consigli d’amministrazione, come avviene in Germania e Svezia da decenni). I due candidati avevano messo in difficoltà Biden e avevano conquistato il sostegno degli elettori più giovani alle primarie democratiche. Delusi dall’amministrazione Biden-Harris, gli stessi giovani hanno voltato le spalle ai democratici alle elezioni del 2024. Non è impossibile che in futuro una candidata o un candidato con idee simili a quelle di Sanders e Warren ottenga la nomination.

In questo contesto bisogna guardare cosa succede nel resto del mondo, con evoluzioni che potrebbero portare cambiamenti in senso progressista nei prossimi decenni. Di sicuro non possiamo aspettarci niente di buono da Russia e Cina, diventate oligarchie autoritarie. Ma nel gruppo dei paesi emergenti (Brics) ci sono anche democrazie in buona salute che hanno più elettori di tutti i paesi occidentali messi insieme, a cominciare da India, Brasile e Sudafrica. Durante il G20 del 2024 il Brasile ha sostenuto l’introduzione di una tassa mondiale per i miliardari. L’iniziativa purtroppo è stata ostacolata dagli occidentali, che continuano a combattere ogni proposta di ridistribuzione significativa della ricchezza su scala mondiale. Se tra qualche anno in India dovesse esserci una svolta a sinistra in grado di mandare all’opposizione i nazionalisti affaristi del Bharatiya janata party (un’ipotesi sempre più plausibile), allora la pressione del sud del mondo a favore della giustizia fiscale e climatica potrebbe diventare irresistibile.

Nella battaglia globale tra la democrazia e l’oligarchia, la speranza è che l’Europa possa uscire dal suo letargo e avere finalmente un ruolo attivo. Il continente ha tutto da perdere dalle politiche trumpiane. Anche in questo caso dobbiamo mantenere l’ottimismo: dopo la pandemia di covid l’opinione pubblica si aspetta di più dall’Unione europea e ha un atteggiamento meno timido dei leader politici. Speriamo che i governi si dimostrino all’altezza e che nel 2025 riescano a liberarsi della sfiducia reciproca e delle scelte controproducenti che impediscono a tutti di andare avanti. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1598 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati