23 gennaio 2016 16:03

Il 17 dicembre 2010, preso dalla disperazione, un giovane venditore ambulante tunisino di nome Mohamed Bouazizi si è suicidato dandosi fuoco per protesta contro la disoccupazione e i soprusi della polizia, dando il via a sommosse popolari in tutto il mondo arabo. Cinque anni dopo un altro giovane tunisino, Ridha Yahyaoui, si è ucciso per l’esasperazione di non trovare lavoro, scatenando le proteste nelle stesse povere città che cinque anni fa hanno abbattuto il regime di Zine el Abidine Ben Ali.

Nonostante l’esperienza tunisina sia stata considerata quella di maggior successo tra le varie rivolte della Primavera araba per il progresso democratico che ha innescato, essa è diventata anche un esempio dei pericoli che possono derivare dall’incapacità di far fronte al malessere economico, all’isolamento e alla frustrazione dei giovani nordafricani.

A Kasserine, povera città nel cuore del paese dove hanno avuto inizio le proteste di questi giorni, altri giovani delusi hanno minacciato di togliersi la vita. Due di loro sono rimasti feriti dopo aver tentato di gettarsi dal tetto del municipio, frustrati per la mancanza di lavoro. I disordini si sono rapidamente estesi ad altre città del nord e del sud del paese, e non accennano a placarsi: i manifestanti hanno preso d’assalto stazioni di polizia e uffici governativi locali, mentre un poliziotto è stato ucciso.

A Tunisi la situazione è rimasta per lo più calma, ma nella notte di giovedì si sono verificati isolati tumulti in due quartieri popolari. Per far fronte ai disordini, venerdì il governo ha ordinato il coprifuoco dalle 20 alle 5 in tutto il paese. Secondo quanto affermato da un agente di polizia, durante la notte nella capitale sarebbero state arrestate almeno 19 persone.

Non avrei mai pensato di chiedere oggi le stesse cose di cinque anni fa, dice un giovane manifestante

Scandendo lo slogan “Lavoro, libertà,dignità”, i manifestanti hanno subito evocato la “Rivoluzione dei gelsomini” del 2011, rivendicandone nuovamente le promesse di libertà politica e opportunità economiche che non ritengono siano state mantenute. Molti manifestanti attribuiscono la responsabilità di questo fallimento all’indifferenza di alcuni vecchi funzionari del regime di Ben Ali, come il presidente Béji Caïd Essebsi, che sono tornati al potere anche dopo la rivoluzione che aveva costretto all’esilio il dittatore.

“Credevo che la rivoluzione ci avrebbe dato la speranza di trovare un lavoro dignitoso”, dice Haamza Hizi, un disoccupato ventottenne di Kasserine. “Non avrei mai pensato di chiedere oggi le stesse cose di cinque anni fa. Il vecchio regime ci ha rubato i sogni”.

La Tunisia è riuscita a evitare quasi completamente le violente “scosse di assestamento” che si sono invece verificate in altri paesi che sono riusciti a rovesciare i vecchi leader con le primavere arabe – come l’Egitto, lo Yemen e la Libia, dove si fatica ancora a trovare la stabilità.

La giovane democrazia tunisina è stata in grado di produrre una nuova costituzione, un compromesso politico tra partiti laici e islamisti e libere elezioni che sono state considerate un esempio da seguire per la transizione in un’area dove la volontà delle armi è stata spesso più forte di quella delle urne. Al progresso politico, tuttavia, non è corrisposto un miglioramento economico. A causa di una crescita debole e di minori investimenti, nel 2015 il tasso di disoccupazione è salito al 15,3 per cento (dal 12% del 2010). Con l’aumento del numero degli studenti, un terzo dei tunisini senza lavoro è costituito da laureati. Mohamed Bouazizi era un laureato che per sopravvivere doveva vendere frutta e verdura per strada.

La frustrazione è diffusa nei quartieri poveri di Tunisi e in città rurali come Sidi Bouzaid e Kasserine

È in parte a causa di tale situazione che, talvolta, a cadere nella rete dei jihadisti che reclutano combattenti in Siria, Iraq e ora anche in Libia, sono persino cittadini tunisini istruiti e appartenenti al ceto medio. Si ritiene che siano più di tremila i tunisini che combattono in gruppi islamisti tra Siria e Iraq.

La frustrazione è diffusa soprattutto nei quartieri poveri della capitale e nelle comunità rurali isolate dove sono esplose le proteste di questi giorni. “Ridha si è ucciso perché aveva perso la speranza”, ha detto Hathmane, il padre di Yahyaoui, stringendo una fotografia del figlio. “Io ho perso mio figlio, ma le autorità sono avvertite: mio ​​figlio sarà il nuovo Bouazizi, e dalla sua morte scaturiranno nuove proteste per il lavoro e la dignità”.

Sidi Bouzaid e Kasserine sono state le prime città a sollevarsi contro Ben Ali durante la rivoluzione del 2011. Il tasso di disoccupazione nella regione al confine con l’Algeria, la cui economia si basa principalmente sulla coltura di frutta e la produzione di olio, è quasi doppio rispetto alla media nazionale. È sempre stata un’area delicata. Due anni fa, un tentativo del governo di tagliare le sovvenzioni aumentando le imposte sui veicoli ha scatenato una rivolta, e a Kasserine è stato ucciso un uomo. Dopo la rivoluzione, inoltre, la regione è stata interessata dalla violenza legata al conflitto a bassa intensità della Tunisia con i militanti islamisti, che usano la zona di confine con l’Algeria come base per le loro operazioni, soprattutto contro l’esercito.

Mercoledì scorso, il presidente Essebsi ha annunciato l’intenzione del governo di creare più di seimila posti di lavoro per i giovani di Kasserine, avviando progetti edilizi e di sviluppo locale. A registrarsi presso l’ufficio del governatore, il giorno dopo, si sono presentati a migliaia.

“Comprendiamo bene le richieste dei manifestanti, che sono legittime”, ha affermato Khaled Chouket, portavoce del governo. “Ma è possibile che nella protesta stiano tentando di infiltrarsi individui intenzionati a infangare il nome della Tunisia e a indebolire la nostra democrazia”.

Le manifestazioni di questi giorni arrivano in un momento delicato per il governo. A differenza di Libia e Algeria, i suoi vicini ricchi di petrolio, la Tunisia non dispone di ingenti risorse naturali. Gli anni di instabilità, inoltre, hanno ostacolato gli investimenti. I tre gravi attacchi terroristici sferrati dal gruppo Stato islamico l’anno scorso (l’attentato al museo nazionale del Bardo, la strage di turisti in un resort di Sousse e l’attentato suicida di Tunisi del 24 novembre 2015) hanno colpito particolarmente il settore turistico, una fonte vitale di occupazione ed entrate.

Al di là del confine, la Libia sta implodendo sotto i colpi delle due fazioni rivali che se ne contendono il controllo dalla caduta di Gheddafi, trasformandosi in un rifugio ideale per i militanti islamisti e generando ulteriore instabilità nella regione.

Il partito di cui Essebsi è leader, Nidaa Tounes (Appello della Tunisia), si trova nel pieno di una crisi tutta interna. Nidaa si è spaccato su una disputa in merito al ruolo del figlio di Essebsi nel partito e una corrente sta minacciando la scissione. Secondo i partiti di opposizione e i movimenti sociali, il governo avrebbe ignorato i progetti di sviluppo regionale e lasciato esacerbare la delusione nelle zone rurali.

“La tensione e la rabbia contro i simboli dello stato sono autentiche”, ha dichiarato Essam Chebbi, del Partito repubblicano all’opposizione. “Ciò significa che la gente non ha fiducia nel governo, e che il governo ha perso credibilità”. Il primo ministro Habib Essid è rientrato in anticipo dal Forum economico mondiale di Davos, in Svizzera, convocando una riunione straordinaria di governo e comunicando l’intenzione di dare una risposta alle proteste.

Ma in strada la pazienza davanti alle promesse è pressoché esaurita. “Il governo dice di non avere la bacchetta magica”, ha dichiarato Mohamed Klhifi, un laureato in lingua e letteratura araba di Kasserine, disoccupato. “E allora? Noi non vogliamo magie: vogliamo un lavoro”.

(Traduzione di Alberto Frigo)

Questo articolo è stato pubblicato dall’agenzia Reuters.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it