12 maggio 2016 13:52

Una fatidica notte del luglio 2014, le truppe israeliane si erano ammassate sul confine con la Striscia di Gaza per prepararsi alla guerra. Da alcuni giorni i guerriglieri di Hamas stavano lanciando razzi su Israele e gli aerei da guerra israeliani avevano cominciato a bombardare i territori palestinesi.

La brigata Givati, un’unità di fanteria scelta, aveva ricevuto gli ordini stampati su una singola pagina. “La storia ci ha scelto per essere i capofila della lotta contro il nemico terrorista di Gaza che maledice, denigra e odia il dio d’Israele”, aveva scritto nella lettera rivolta alle sue truppe il colonnello Ofer Winter, comandante dell’unità. Winter concludeva con una citazione biblica che prometteva la protezione divina, sul campo di battaglia, per i guerrieri d’Israele.

La lettera è circolata rapidamente sui social network e da lì è giunta ai mezzi d’informazione. Gli israeliani laici l’hanno condannata perché aveva rotto il tacito accordo che da decenni teneva la religione fuori delle missioni militari.

Oggi, quella lettera rimane il simbolo di un profondo spostamento nella società israeliana, al cui interno i nazionalisti religiosi hanno un potere e un’influenza crescenti. Questo cambiamento ha aperto a una battaglia su che tipo di paese debba essere Israele, che oppone i liberali al campo più spiccatamente nazionalista-religioso.

Un nuovo campo di battaglia

All’inizio della sua storia, i due principali centri di potere d’Israele – l’esercito e il governo – erano dominati dall’élite laica e perlopiù di sinistra che aveva fondato lo stato nel 1948. Ma nell’ultimo decennio è emersa una nuova generazione di leader che mescolano religione e nazionalismo.

Il sionismo religioso differisce da quello laico sul piano storico e per le sue venature messianiche. Per i sionisti religiosi, occuparsi di luoghi come gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, culla biblica dell’ebraismo che anche i palestinesi considerano casa loro, è un modo di compiere un dovere religioso e di costruire uno stato ebraico.

Questa comunità, definita talvolta come “nazionalreligiosa” ha aumentato la sua presenza sia nel governo sia nell’amministrazione statale. Quest’anno, per la prima volta, i capi della polizia, del Mossad (l’agenzia d’intelligence) e dello Shin Bet (i servizi di sicurezza interni) sono tutti sionisti religiosi.

Alcuni temono che un eccesso di religione nell’esercito possa spingere i soldati ad avere dei dubbi su chi stiano servendo: i loro ufficiali o Dio

Ma è in ambito militare che il cambiamento risulta ancora più evidente. In gran parte, i soldati israeliani sono ebrei laici oppure osservanti, però tra loro ci sono anche cittadini drusi e beduini arabi. Tuttavia, negli ultimi vent’anni, come mostrano diversi studi accademici, si è assistito a un’impennata del numero di ufficiali sionisti religiosi nelle forze di difesa israeliane (l’esercito, Idf), sottoposte alla crescente influenza di rabbini che hanno introdotto questioni di culto e politiche nel campo di battaglia.

Per questo, ora alcuni politici e leader militari si oppongono a questa tendenza: alcuni israeliani laici temono che un eccesso di religione nell’esercito possa spingere i soldati ad avere dei dubbi su chi stiano servendo: i loro ufficiali o Dio.

In una lettera inviata agli ufficiali e pubblicata dall’esercito, il capo di stato maggiore, Gadi Eizenkot, ha rivendicato la posizione dell’Idf: “L’Idf è l’esercito del popolo e comprende un ampio spettro della società israeliana”, ha scritto. “È necessario mantenere l’Idf un esercito di stato di un paese democratico, promuovendo tutto quanto rafforza l’unità dei suoi soldati”.

I politici e i rabbini sionisti religiosi hanno cercato di ostacolare questo cambiamento appellandosi al primo ministro Benjamin Netanyahu, la cui coalizione di governo si fonda in parte sul sostegno di tali elettori. Netanyahu è un laico, nonostante molti dei suoi più stretti collaboratori e tanti membri del governo siano sionisti religiosi.

Eisenkot, comunque, non è tornato sui suoi passi e il 3 aprile l’esercito ha dichiarato di aver trasferito l’unità di consapevolezza ebraica all’ufficio che si occupa del personale militare, anche se i dettagli operativi sono ancora allo studio.

Un’esercitazione militare israeliana al confine tra Gaza e Israele, il 13 gennaio 2016. (Amir Cohen, Reuters/Contrasto)

I sionisti religiosi sono solo il 10 per cento della popolazione israeliana, una cifra simile a quella della comunità ultraortodossa, anche se quest’ultimo gruppo è molto meno integrato nella società israeliana ed è tradizionalmente escluso dal servizio militare.

I rabbini sono presenti da tempo nell’esercito israeliano, ma si sono sempre occupati di questioni pratiche, come il rispetto delle disposizioni alimentari ebraiche. Le cose hanno cominciato a cambiare all’inizio degli anni duemila. Il rabbinato militare ha creato l’unità di consapevolezza ebraica, che offre ai soldati visite guidate, lezioni sull’ebraismo e corsi che mescolano l’insegnamento religioso con valori militari come leadership, cameratismo e spirito di sacrificio.

L’esercito israeliano non possiede statistiche sulla fede o la laicità dei soldati. Ma uno studio dettagliato della rivista del ministero della difesa, Maarachot, mostra che nel 2008 tra i cadetti ufficiali la percentuale di nazionalisti religiosi era aumentata di dieci volte, passando dal 2,5 per cento del 1990 al 26 per cento.

Alcuni studi più recenti di specialisti come Reuven Gal, presidente dell’Associazione israeliana di studi civili e militari, mostra che la tendenza va avanti: i sionisti religiosi rappresentano oggi tra un terzo e la metà dei cadetti dell’esercito. “È un numero troppo alto”, secondo Gal. “L’Idf è l’esercito israeliano, non l’esercito ebraico. Al suo interno ci sono soldati osservanti e laici. Se i suoi valori provengono dal rabbinato, c’è qualcosa di sbagliato”.

I sionisti religiosi sono oggi i principali sostenitori del movimento dei coloni israeliani

La Bnei David, la principale scuola militare d’Israele, è stata creata nel 1988 per spingere i giovani sionisti religiosi ad assumere un ruolo più importante nell’esercito, perché era stato notato un calo di motivazione tra le reclute.

La scuola si vanta del fatto che quasi tutti i suoi diplomati si offrono volontari, metà di loro in corpi scelti. Circa il 40 per cento dei suoi allievi, tra i quali Ofer Winter, è stato promosso ufficiale. “Consideriamo il servizio militare un grande mitzvah (comandamento ebraico). È un obbligo civile, ma anche un grande mitzvah della Torah”, ha dichiarato Netanel Elyashiva, uno dei rabbini di un seminario della scuola. Oggi Bnei David è una delle 46 accademie militari israeliane, che per metà sono religiose.

Voci critiche come quella del professor Yagil Levy, docente di relazioni civili e militari alla Open university, considera la crescente influenza del sionismo religioso nell’esercito come parte di una spinta più vasta volta a rafforzare gli insediamenti ebraici nei territori palestinesi. I sionisti religiosi sono oggi i principali sostenitori del movimento dei coloni israeliani. La delusione relativa al disimpegno da Gaza nel 2005, quando Israele ha ritirato le sue truppe e circa novemila coloni dalla Striscia di Gaza, ha spinto i sionisti religiosi a cercare di ottenere posizioni più prestigiose nel mondo della politica, della stampa e in particolare nell’establishment militare, spiega Levy. “L’esercito è un’importante arena pubblica nella quale possono esercitare un ruolo attivo e deciso… In modo che la vergogna del disimpegno del 2005 non si ripeta”.

Ma il rabbino Eli Sadan, fondatore di Bnei David, respinge simili critiche. In un articolo pubblicato a gennaio, ha dichiarato che i sionisti religiosi non hanno alcuna intenzione di prendere il controllo dell’esercito, aggiungendo che Levy e altri critici alimentano l’odio contro una comunità profondamente devota al popolo d’Israele.

Qualunque siano i suoi obiettivi, alcuni deputati e ufficiali militari hanno espresso una crescente preoccupazione nei confronti dell’Unità di consapevolezza ebraica.

L’ulteriore svolta a destra di Netanyhau

Il voto nazionalista religioso si ripartisce perlopiù tra due partiti: il Likud di Netanyahu e la formazione sionista religiosa Casa ebraica, che ha ripreso forza grazie a una giovane dirigenza prima delle elezioni del 2013, durante le quali ha più che raddoppiato i suoi seggi: 12 sui 120 totali del parlamento.

Nelle elezioni del 2015, Casa ebraica ha perso quattro seggi a favore del Likud, calando a otto. Ma ha ottenuto un ruolo più importante nel governo di coalizione, ottenendo per la prima volta il ministero della giustizia, due altri ministeri e due seggi nel consiglio di sicurezza.

Casa ebraica si è notevolmente trasformata sotto la guida del suo leader, Naftali Bennett, di 44 anni. In passato Bennett ha difeso soprattutto degli interessi settari. Adesso intende apertamente rimodellare il paese e ha già ottenuto alcuni successi in tal senso. Casa ebraica si oppone alla creazione di uno stato palestinese e vuole che Israele annetta formalmente buona parte della Cisgiordania. Ha rafforzato una legge che impone che gli eventuali accordi di “terra in cambio di pace” debbano essere approvati con un voto, e ne ha scritta un’altra che limita la scarcerazione dei palestinesi condannati per aver ucciso degli israeliani.

La maggior parte dei sionisti religiosi si oppone alle concessioni territoriali ai palestinesi. Oltre che per motivi religiosi, condividono le preoccupazioni di Netanyahu che una simile decisione presenti dei rischi per la sicurezza.

È dal 2015 che la competizione per ottenere il voto dei nazionalisti religiosi ha spinto Netanyahu a effettuare un’ulteriore svolta a destra, spesso seguendo l’esempio di Bennett. “Vogliamo uno stato che sia più legato alle sue radici”, ha dichiarato Bennett. “Io sono sionista, ebreo e fiero di esserlo. Sono 3.800 anni che questa è la mia terra. Questi sono i miei valori”.

Bennett ha affermato che, dopo l’olocausto, il sionismo-religioso ha “vivacchiato”, per poi ricominciare ad assumere importanza negli anni settanta. “Adesso siamo nella terza fase, nella quale vediamo il sionismo religioso assumere posizioni di comando in tutti gli ambiti d’Israele”.

Yedidia Stern, vicepresidente della ricerca presso l’Israel democracy institute e a sua volta un sionista religioso, ricorda gli anni traumatici che hanno seguito l’assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin nel 1995, ucciso da un sionista religioso iscritto alla facoltà di diritto. Rabin aveva promesso di restituire della terra ai palestinesi nel quadro degli accordi di pace di Oslo, provocando la rabbia di molti sionisti religiosi.

“Tutto il movimento fu etichettato come un pericolo per lo stato di diritto: irrazionale, ribelle, il sionismo religioso diventò praticamente illegale”, spiega. “Vent’anni dopo, siamo in una posizione opposta: l’intero stato di diritto è nelle mani dei sionisti religiosi. È stupefacente”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dall’agenzia britannica Reuters.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it