06 febbraio 2019 12:49

Una mattina del settembre 2009, un gruppetto di potenti esponenti del Cremlino si mise in fila nella residenza di Dmitrij Medvedev, allora presidente della Russia, per accogliere un ospite di riguardo: il presidente venezuelano di allora, Hugo Chávez. “Mi sei mancato”, disse Medvedev al Comandante. “Per me sei un amico e un compagno, Dmitrij”, rispose Chávez, prima di trasmettere i saluti di “amici comuni” come Muammar Gheddafi e Bashar al Assad. “La Russia è di nuovo una superpotenza”, aggiunse, “e il Venezuela è al centro di questo scontro di potere in America Latina”.

Da allora Gheddafi è stato ucciso e Assad è sopravvissuto solo grazie alla potenza di fuoco della Russia. E il futuro del successore di Chávez, Nicolás Maduro, è appeso a un filo. I manifestanti sono scesi in piazza a Caracas. I paesi dell’America Latina e gli Stati Uniti hanno riconosciuto l’opposizione come legittimo governo del Venezuela. L’Europa è favorevole all’idea. Ma la Russia considera la sopravvivenza di Maduro fondamentale per i suoi interessi vitali.

Alexander Gabuev del Carnegie Endowment, che aveva assistito come giornalista alla visita di Chávez a Mosca nel 2009, ritiene che l’incontro con Medvedev sia stato un punto di svolta. In precedenza, dice, la Russia considerava il Venezuela come poco più che un mercato, ricco in petrolio, per le proprie armi. L’antiamericanismo di Chávez era un incentivo supplementare. La crisi finanziaria globale e il crollo del prezzo del petrolio avevano colpito duramente la Russia, mentre la sua guerra con la Georgia nel 2008 aveva rivelato il suo conflitto con l’occidente.

Zelante diplomazia
Nel corso dell’incontro Chávez annunciò che il Venezuela avrebbe riconosciuto i territori separatisti dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia, che il Cremlino aveva contribuito a separare dalla Georgia in quella che era praticamente un’annessione. Chávez era stato convinto dalla zelante diplomazia di Igor Sečin, il luogotenente più vicino a Putin e viceprimo ministro per l’energia, che era anche presidente di Rosneft, la principale azienda petrolifera del paese. Sečin si è occupato delle relazioni della Russia con il Venezuela, Cuba e il Nicaragua, ottenendo che anche quest’ultimo riconoscesse l’autonomia degli ex territori della Georgia.

Il riconoscimento da parte del Venezuela ha avuto un costo. Il Cremlino ha concesso al paese un prestito da 2,2 miliardi di dollari per comprare armi russe, e ha formato un consorzio di cinque grandi aziende energetiche affinché investissero nei terreni d’estrazione petrolifera venezuelani. Quattro di queste aziende si sono da allora discretamente defilate dal consorzio, lasciando tutti i rischi a Rosneft.

Dal 2006 la Russia ha prestato al Venezuela almeno 17 miliardi di dollari. Parte di questo debito è stato ristrutturato ma il Venezuela deve ancora alla Russia sei miliardi di dollari, metà dei quali a Rosneft. Invece di ridurre i suoi rischi, Rosneft ha continuato a esporsi in Venezuela dopo la morte di Chávez.

Offuscare il confine tra interessi dello stato e interessi privati è stato uno dei punti cardine del governo di Putin

Maduro ha restituito il favore riconoscendo l’annessione della Crimea da parte della Russia e garantendo ulteriori licenze a Rosneft. Sečin ha calmato i timori sull’esposizione dell’azienda in Venezuela, avanzati da alcuni membri del governo, sostenendo che la Russia dovesse sostenere per procura il paese in chiave antistatunitense, così come l’Ucraina e la Georgia sono state usate dagli Stati Uniti nella sfera d’influenza della Russia.

Questa posizione è stata esplicitata dalla visita di Maduro a Mosca nel dicembre del 2018, quando in Venezuela la pressione nei suoi confronti stava salendo. Alcuni giorni dopo la Russia ha inviato due caccia militari Tu-160, in grado di lanciare bombe nucleari, a Caracas. Questa sfilata aerea di diecimila chilometri ha spinto il segretario di stato Mike Pompeo a denunciare su Twitter “due governi corrotti che sprecano denaro pubblico, soffocando la libertà”.

Intermediari petroliferi
Sečin, il capo di Rosneft, non agisce solo per motivazioni geopolitiche. Non solo a Rosneft è stato segretamente offerto il controllo di vari progetti petroliferi, ma l’uomo è anche diventato, secondo quanto riferito da Reuters, un intermediario per la vendita del petrolio venezuelano in tutto il mondo, un’attività notoriamente poco trasparente e redditizia. Buona parte di questo petrolio finisce nelle raffinerie degli Stati Uniti (nonostante le sanzioni contro la Russia), venduto da intermediari del settore.

Per usare le parole di Gabuev, “un uomo e un’azienda con accesso diretto a Putin hanno privatizzato la politica estera e le risorse statali della Russia”. Ed effettivamente offuscare il confine tra interessi dello stato e interessi privati è stato uno dei punti cardine del governo di Putin.

Un altro sodale del Cremlino apparentemente coinvolto nella faccenda è Evgenij Prigožin, un ristoratore che ha fatto fruttare i suoi legami con Putin trasformandoli in contratti per la fornitura d’armi, e che sarebbe a capo della fabbrica di troll che ha manomesso le elezioni statunitensi del 2016. La stampa indipendente russa sostiene che Prigožin sia il principale proprietario di Wagner, un’azienda di appaltatori militari privati attiva in Ucraina, in Siria e in parti dell’Africa (nonostante Prigožin neghi addirittura l’esistenza di questo gruppo). Secondo alcuni resoconti, varie centinaia di mercenari di Wagner sarebbero stati inviati oggi in Venezuela.

I punti in comune tra Russia e Venezuela
Tatiana Vorožeikina, un’esperta russa di America Latina, sostiene che lo svuotamento delle istituzioni e la privatizzazione del potere dello stato è appunto ciò che accomuna la Russia e il Venezuela. “Quando le persone che controllano l’esecutivo controllano anche le risorse economiche più lucrative, un paese si trasforma in un deserto istituzionale. In questa situazione ogni forma di destabilizzazione è estremamente pericolosa”, dice.

Questo spiega la risposta aggressiva della Russia alle rivolte contro Maduro. “Stiamo assistendo a una folla che elegge un nuovo capo di stato in piazza, incurante della costituzione”, ha twittato Medvedev (tra le risposte si segnalano “idiota, perché hai dato prestiti per 17 miliardi di dollari a Maduro?” e “il prossimo sei tu”). I canali televisivi statali russi attribuiscono i disordini in Venezuela, così come la rivoluzione in Ucraina del 2014, all’interferenza degli Stati Uniti, e mettono in guardia contro simili scenari in patria.

In Russia non c’è aria di rivoluzione ma, come dice Vorožeikina, il Venezuela serve a ricordare che, per quanto demoralizzato possa apparire un movimento d’opposizione in un dato momento, può consolidarsi in quello successivo. Alexej Navalny, il principale esponente dell’opposizione in Russia, ha accolto con favore le proteste a Caracas, attaccando il Cremlino per la corruzione e per aver sprecato più denaro in Venezuela di quanto ne spenda ogni anno per l’istruzione e la sanità dei cittadini russi.

Un possibile precedente
Putin, che secondo la costituzione sta svolgendo il suo ultimo mandato presidenziale, vede nel Venezuela un possibile precedente. Lo stesso accade, senza dubbio, per i servizi di sicurezza e i politici dell’opposizione russi. Il presidente deve mostrare i muscoli a entrambi. Evitare il rovesciamento di regimi autoritari è stata la fissazione di Putin dai tempi della morte violenta di Gheddafi.

Vladimir Frolov, un analista delle relazioni internazionali, ha sostenuto in un recente articolo che il sostegno al cambiamento di regime da parte degli Stati Uniti in Venezuela mette alla prova un punto fermo di Putin, la sua fiducia nella “sovranità illimitata” e nel diritto dei governanti di usare la forza per restare al potere. Secondo lui è questa, più dei miopi investimenti della Russia in Venezuela, la ragione alla base del tentativo di evitare il rovesciamento di Maduro.

La Russia potrebbe aver spedito le truppe di Wagner per proteggerlo da eventuali rivolte delle sue stesse forze. Intervistato da Ria Novosti, un’agenzia stampa russa, a proposito della presenza nel suo paese di forze russe, Maduro ha protestato con foga: “Non posso parlarne. No comment. Non faccio nessun commento. Non posso far alcun commento al riguardo”.

L’occidente sta cercando di tagliare le fonti di finanziamento di Maduro. Nel frattempo, secondo la Novaya Gazeta, un giornale indipendente russo, Mosca gli sta fornendo denaro, vendendo l’oro che il Venezuela ha depositato nella banca centrale russa per sicurezza, e inviando vari aerei pieni di dollari a Caracas.

Sul lungo periodo, sostiene Gabuev, Mosca potrebbe cercare di creare, insieme a Cuba e alla Cina, una coalizione in grado di tenere a galla Maduro. Questo non significa che spedirà le sue forze aeree a Caracas, come ha fatto in Siria, ma farà quanto possibile per frustrare i piani degli Stati Uniti.

Se la polveriera Venezuela esploderà, la Russia potrà sempre accusare gli Stati Uniti di aver mandato a monte i suoi investimenti. Ma se Maduro cadrà, abbandonato dal suo esercito e odiato dal suo popolo, gli investimenti andati in fumo non saranno certo la principale preoccupazione di Putin.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.

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